Classe dirigente alla deriva

Destra e sinistra discutono di minuzie politiche,

il governo fa passettini, mentre la crisi fa passi da gigante e il mondo si ristruttura alle nostre spalle con successi strategici che ci emarginano e umiliano

Com’è andato l’incontro tra Alfano e Berlusconi? Si riappacificano o si dividono? E la decadenza di Berlusconi da senatore, che conseguenze avrà? Quanto pesa l’intervista di D’Alema in appoggio a Cuperlo e in odio a Renzi? Da che parte penderà il peso del partito degli iscritti e degli apparati? Uno scisma silenzioso se Renzi vince, è questa la prospettiva indicata dalla nomenclatura del Pd? E come ristruttura la girandola delle tasse sulla casa questo governo? E che legge elettorale sarà mai possibile in questo girotondo di partiti e istituzioni e promesse ovviamente mancate di riforma?

Non siamo snob, il conflitto per il potere, per spartire nel compromesso il tesoro del consenso e della rappresentanza, o conquistarlo maggioritariamente, ha una sua dignità, ci mancherebbe. Lo scontro sui nomi, sulle ambizioni grandi e piccine, sulle formule, sui riti e le celebrazioni del passato e del futuro, è tutta roba che fa parte del gioco. Cacciare dal Senato della Repubblica, con il voto politico di un pezzo della maggioranza di governo contro l’altro pezzo, un leader di due decenni, poi, non è cosa ordinaria. Ma da quanto tempo, tra governo e partiti, non ascoltiamo una parola persuasiva, informata, seria, sulla vera posta di questa fase della storia economica, sociale e politica del mondo, dell’Europa e dell’Italia?

Marco Valerio Lo Prete ha curato con eleganza e ordine intellettuale la pubblicazione qui di un lungo saggio del professor Giuseppe Guarino, di cui esce oggi l’ultima puntata distesa su due pagine di giornale. La sua tesi centrale è che con un semplice regolamento è avvenuto nel 1999 un esproprio di sovranità ai danni di nazioni e popoli dell’area dell’euro, la cui conseguenza è la fine del potere di decisione di chi vota alle elezioni politiche sul destino del paese o della patria di cui è cittadino. Può una nuova patria europea nascere per regolamento burocratico? Quali sono le conseguenze economiche finali dell’impossibilità di usare per obiettivi di crescita la leva fiscale? Guarino è un uomo di establishment, un competente in fatto di diritto e di politica e di istituzioni, un tecnico che ha conosciuto l’arte dello stato ed è ascoltato in Europa: le sue tesi, ovviamente discutibili, non possono essere liquidate con una banale accusa di populismo.

Sta di fatto che l’Europa è tornata ieri sotto il livello della recessione, come media, per via dei cattivi risultati della Francia, a non voler parlare dell’Italia (la seconda e la terza economia dell’area euro). La Germania fa da sola, sempre di più. Merkel e i socialdemocratici si sono accordati su un punto dirimente: niente mutualizzazione del debito pubblico, che per i tedeschi è una colpa (Schuld) pubblica, e passi felpati e lenti verso ulteriori processi di unificazione politica e istituzionale dell’Unione, a partire dal sistema bancario, mentre, come ha ricordato ieri qui Franco Debenedetti, pende il giudizio della Corte suprema tedesca su Mario Draghi e sulle sue politiche di difesa dell’euro dalla speculazione di mercato.

In Gran Bretagna sussistono problemi di competitività, ma la disoccupazione sarà al 7 per cento entro l’anno prossimo, secondo le previsioni di Mark Carney, il capo della Bank of England, e tutti gli indicatori dicono che la ripresa takes hold, si fortifica e prende radici con una prospettiva di crescita. La Gran Bretagna, modello anglosassone fondato sulla persistente sovranità monetaria, ha attuato per anni durissime politiche di austerità nei conti, e in pari tempo, perché poteva farlo, ha irrorato il sistema produttivo di liquidità attraverso la Banca centrale che governa la sterlina (il Quantitative easing). La stessa cosa, più o meno, con la disoccupazione al 7 e qualcosa per cento già ora, accade negli Stati Uniti, l’altra e decisiva compagine del mondo anglosassone e del suo modello di crescita e ripresa, dopo la recessione. Prima il Tesoro americano, poi perfino la Commissione di Bruxelles, hanno avvertito la Cancelleria di Berlino: il vostro squilibrio di bilancio nelle esportazioni, frutto di buona salute e di riforme fatte al momento giusto, è tuttavia oggi il principale ostacolo a un aumento della domanda e a una crescita nel resto dell’Europa. Di queste cose una classe dirigente come la nostra, impegnata in battaglie retoriche contro i populismi, non sa più discutere, se pure ne sia correttamente informata. La via imboccata, governo di larga coalizione sotto amministrazione controllata compreso, è quella di un futuro penoso e forse di un disastro. Vale la pena saperlo.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 15 novembre 2013 - ore 06:59 

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