Scienza della Disoccupazione
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Declino è bivaccare nel culturalese, ma facendo Comunicazione
L’Italia declina. E gli italiani, in questo, hanno le loro colpe. Chiacchierano con i loro innumerevoli telefonini, guardano la tivù e sempre – come hanno scritto ieri sul Corriere Alberto Alesina e Francesco Giavazzi – bivaccano senza leggere neppure un libro all’anno. L’Italia crolla e non ha saperi. E però “comunica”. E bisogna perciò dire che quella dei due editorialisti di Via Solferino, ieri, non è stata una trombonata. Tra le preoccupanti metastasi rivelatrici di un danno mentale (proprio un disastro sociale) hanno, infatti, individuato la più squinternata delle chimere assai in voga presso le giovanotte e i giovanotti: il pezzo di carta, uno in particolare. “Bisogna convincere i nostri figli”, scrivevano ieri, “che laurearsi a 27 anni in Scienze della Comunicazione difficilmente apre prospettive nel mondo del lavoro”.
E’ solo una Scienza per le Disoccupazioni quella di questa moda. E’ un diploma frutto di una parcellizzazione degli studi di certo perfetta per elargire cattedre e settorializzare tutto, dove nulla ne cale perfino del deposito umanistico, come se fosse possibile fare l’esame di latino senza sapere di italiano. “Lettere”, diceva Marzio Pieri, “significa leggere”. Scienze della Comunicazione, forse, fu utile in un’altra stagione. Nelle tivù giravano i soldi, le aziende investivano in immagine e nell’ebbrezza degli anni 80, tra creativi e mazzette, tra le professioni c’era pure quella dei pr, gli addetti alle pubbliche relazioni. Fu l’epopea delle cicale ma oggi s’è consumata: perfettamente inutile quando il saper fare risulta ben più urgente del faccio cose e vedo gente, pratica assai utile negli happy hour più che nella ripresa del pil.
Di culturalese si muore ed è ben difficile immaginare i coetanei indiani, turchi o brasiliani dei nostri figli indirizzarsi verso questi studi buoni per fare solo gnagnera perché – la realtà fa testo – già da oggi è certo che neppure un dottorino troverà poi un lavorino. Un po’ come i simpatici giovani che affollano le scuole di giornalismo o i festival – sia esso a Perugia, ormai chiuso – assai volenterosi tutti, tutti entusiasti, ma sempre – tutti – lanciati nel bucare la notizia principale: e cioè che è fi-ni-ta.
Più che di giornalisti, ormai, c’è bisogno di giornalieri. E più che di comunicatori, quindi, c’è urgenza di faticatori e questa Scienza che è parente stortignaccola di ciò che fu il Dams di Bologna, quello di Umberto Eco, quello – per l’appunto – della mistica tossica disegnata e narrata da Andrea Pazienza è pur sempre, nella migliore delle ipotesi, parto di una gestazione: il passatempo. Così come nella peggiore è solo un surrogato. Di un altro surrogato: il pezzo di carta.
FQ. 25 ottobre 2013 - ore 06:59