La patrimoniale furba . CDB vuole tassare i “ricchi”
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per finanziare la concertazione. Carlo De Benedetti rilancia
sul confindustriale Sole 24 Ore, sui quotidiani Finegil, e in occasioni pubbliche la sua campagna per la patrimoniale. Cita quanto scrisse nel 2009: “Serve un abbattimento delle imposte sul lavoro, sulle persone fisiche e sulle società, di molti punti percentuali su tutte le aliquote. Un intervento che si paga introducendo una forte tassazione sui patrimoni. Non la prima casa di chi ha un modesto appartamento in periferia, così come andrebbero esclusi i beni strumentali delle imprese. Si tratta di spostare il peso del fisco dalla produzione alla rendita improduttiva: in Italia il 10 per cento delle famiglie detiene oltre la metà della ricchezza, oltre 4 mila miliardi. E’ qui che si dovrebbe incidere”. L’Ingegnere non è né il primo e non sarà l’ultimo a battersi per la patrimoniale; la sua proposta ha però una singolarità e una malizia.
Tutte le ricette patrimonialiste hard (quelle soft le paghiamo già su casa, depositi risparmio, e perfino tv) prevedono che il ricavato vada ad abbattere il debito. Così come la legge stabilisce che ogni cessione di patrimonio pubblico riduca l’indebitamento. Solo l’effetto indotto, cioè i minori interessi, può in corso d’anno coprire maggiori uscite quali quelle per ridurre le aliquote. Diversamente si compie un errore di grammatica contabile: debito e patrimonio sono poste strutturali, deficit e avanzi congiunturali. Per finanziare il taglio annuale del cuneo occorrerebbe una patrimoniale l’anno. Con effetti immaginabili: dalla riduzione progressiva dei patrimoni sui quali agire, e quindi del gettito, alla fuga dei capitali. Ma non è solo questo che non convince nella versione dell’Ingegnere, dotato peraltro anche di cittadinanza svizzera (benché garantisca di pagare le tasse in Italia, figura tra i primi contribuenti della Confederazione).
La sua patrimoniale statalizza beni privati redistribuendoli non a beneficio della collettività, ma di una parte sociale, seppure importante: il cuneo riguarda i dipendenti privati e le imprese. Non i professionisti o i piccoli imprenditori. In termini numerici, 2,7 milioni di famiglie “ricche” dovrebbero “finanziare” alcune migliaia di industriali, facilitando loro le relazioni sindacali, per giunta senza alcun criterio di produttività. Non basta il refrain marxista della “rendita improduttiva” contrapposta alla “produzione e al lavoro” per nascondere quella che pare una furbata.
Il Foglio, 25 ottobre 2013 - ore 06:59