Tragicomiche finali. Alfano lancia il quid

oltre l’ostacolo. Mezzo Pdl oggi sta con Letta

L’ex delfino raduna i “suoi” e la mette giù dura col Cav.: o voti la fiducia o noi rompiamo. Colpo di scena in vista

“Non mi fido di Berlusconi”; “garantisco io”; “… va bene, garantisci tu, sì, per adesso… ma chi mi garantisce che poi non torna in campo Lui”. Il colloquio tra Enrico Letta e Angelino Alfano, nel pomeriggio, ha un tono d’affannata complicità. Il segretario del Pdl, come dice il senatore Andrea Augello, “ha lanciato il quid oltre l’ostacolo”, sfida il suo padrino politico, Silvio Berlusconi. Travolge ogni soggezione, Alfano, e assieme al presidente del Consiglio, tra detto e non detto, circondato da frasi palindrome, “sarò diversamente berlusconiano”, protetto da una logica d’establishment, dai giornaloni e dal Quirinale, persino dalle gerarchie, tesse una trama che a Milano, Marina Berlusconi, spettatore inquieto, definisce “tradimento”. Oggi Letta chiederà la fiducia, ha respinto le dimissioni dei ministri. Si va dunque alla conta in Parlamento, e senza paracadute.

Il Quirinale e Palazzo Chigi non pilotano la crisi di governo secondo le procedure e la prassi, ma agitano la bandiera della stabilità a ogni costo, rimescolando a mani nude nel mediocre caos in cui ribolle il partito sfasciato di Berlusconi, squassato da una giostra di sospetti incrociati, di polvere venefica, di odio personale non più dissimulato tra cattolici governisti e falchi crisaioli, tra Alfano e Santanchè, tra Verdini e Quagliariello, con la parola “traditore” scagliata, come uno sputo schiumoso, da un corridoio all’altro del partito. A Palazzo Grazioli, Alfano, di fronte a Gianni Letta e al Cavaliere, a un certo punto alza la voce con Niccolò Ghedini, “non mi puoi fare lezioni. Tu, che non hai mai vinto una causa”. Urla e strepiti. E un meccanismo inesorabile sembra stringersi intorno al Cavaliere. In Senato adesso i gruppi parlamentari sono collegati da un dedalo di strade, di passaggi, di sentieri sottomarini: una terra di avventure per Sinbad il marinaio. Ed è lì che si muove Mario Mauro, ministro della Difesa, ciellino, ex uomo di Forza Italia adesso passato con Monti. E’ il ministro democristiano, con altri dc (Lupi, Formigoni e altri del vecchio intergruppo per la sussidiarietà) che fa da spola, da sensale, lusinga i senatori del Pdl, compila una lista, “il nuovo partito”.

“Siamo quaranta”, esulta a un certo punto Giovanardi, “usciamo dal Pdl se Berlusconi vuole far cadere il governo”. E circola anche un nome, è un gruppo parlamentare, chissà, forse un partito politico, “Nuova Italia”. E’ agitando lo spettro della scissione che Alfano, nel pomeriggio, raggiunge Berlusconi a Palazzo Grazioli. La prima visita è del solito Alfano, lo stesso uomo di sempre, rispettoso e sussurrante, tentacolare, deferente, “non li controllo, mi scappano i senatori”, dice l’ex delfino, “dovremmo tentare una mediazione con Letta, chiediamo un rimpasto, chiediamo l’Imu e l’Iva e votiamo sì alla fiducia”. Ma Berlusconi è ancora il padrone, dunque rilancia: “Devono anche rimuovere Saccomanni dall’Economia”. Alfano allora telefona a Enrico Letta, mentre lo zio Gianni, Letta il Vecchio, il diplomatico alla sua più azzardata mediazione, va a Palazzo Chigi. Ma Napolitano e il premier considerano inaccettabile l’offerta, non si fidano del Cavaliere, e intanto sanno, dallo stesso Alfano, che in caso di fiducia, in Senato, al governo non mancheranno i voti necessari. Ma è vero? Tutti compulsano l’elenco degli eletti, il Cavaliere cerca rassicurazioni, mentre Alfano vive momenti d’incertezza quando una voce da Milano annuncia imminente la discesa incampo di Marina, la Berlusconi vendicatrice. Ed è una battaglia di numeri e di nervi, Alfano viene processato in contumacia tra le mura del Castello. Verdini scuote la testa di fronte al Cavaliere, “non è vero che sono quaranta, al massimo sono quindici”. E Santanchè conferma, tagliente, “fanno un partito? Bene. Così finiscono nel gabinetto”. Il Pdl ribolle come una caldaia, e quando Alfano parla con Berlusconi per la seconda volta, a sera, appare un’uomo diverso. Al Cavaliere, che avanza e poi arretra insicuro, l’ex delfino offre lo spaccato di quanta sofferenza debba essergli costata in questi anni la disciplina, il padrinato, forse persino la battuta sul quid. Come dilaniato tra la continuità e l’avventura, tra l’obbedienza e l’autonomia, Alfano offre al suo caro leader un prendere o lasciare, da pari a pari, “tu voti la fiducia e noi torniamo al governo, altrimenti rompiamo”.

La politica diventa così materia instabile, questione di numeri, una strana aritmetica gladiatoria. E il portamento dei parlamentari, l’ondivagare dei senatori contesi tra Letta e Berlusconi, è la prova oscura e costante che la politica italiana è ancora messa male. Ma il Cavaliere conserva in tasca una lama di lucidità. Si è iscritto a parlare oggi in Senato. E se i conti non tornassero, un momento prima del tracollo, forse il colpo di scena: “Voto sì alla fiducia”. Mossa prevista da Letta, “diremo cose invotabili per lui”. Anche sui magistrati e la giustizia.

FQ.di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 2 ottobre 2013 - ore 06:59

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata