Calcio e Squinzi preoccupato per la stabilità.

C’è un nuovo babau pol. corr. (politicamente corretto)

Londra. Che il cammino di David Moyes sulla panchina dello United non sarebbe stato facile come una discesa sulla fascia di Giggs ai bei tempi, era stato detto da molti. Ma l’umiliazione nel derby di domenica, 4-1 in casa del City senza mai vedere la palla, è inquietante. Non per il risultato in sé – Ferguson ne perse uno per 6-1 in casa propria appena un paio d’anni fa – quanto per il contorno: fino a oggi i nuovi Red Devils non hanno impressionato, dipendono troppo da Van Persie e Rooney e devono patire persino l’umiliazione di vedere l’Arsenal in testa alla classifica. Passerà, ma se fossi in Moyes aumenterei la dose di brandy serale per dormire un po’ meglio ed evitare che in sogno mi appaia Cantona a ricordarmi che il Manchester United non è l’Everton. Ma nemmeno il Sunderland, per fortuna, dove i giocatori allenati da Paolo Di Canio hanno fatto gli infamoni e deciso di sputtanarlo prima davanti alla dirigenza e poi sui giornali. Risultato: Di Canio, che dopo l’ultima ennesima sconfitta si era modestamente definito “the world’s best manager”, esonerato e svergognato sui tabloid (“un dittatore arrogante”, “pieno di stile ma senza sostanza”), che come sapete qua in Inghilterra sono molto sobri quando c’è da trattare male qualcuno. Sobri quasi quanto i tifosi turchi del Besiktas, che l’altra sera nei minuti di recupero del derby contro il Galatasaray sono entrati in campo armati di sedie di plastica e hanno cominciato una gigantesca rissa da saloon sul prato verde. Botte a tifosi avversari, steward e poliziotti. Come dite voi? Adda venì il fair play.

A questo proposito, va sottolineato il gesto più sportivo del fine settimana calcistico: i sette gol dell’Inter al Sassuolo. Fossero stati otto o nove sarebbe stato persino più fair. C’è da dire che la squadra di Mazzarri a un certo punto ci ha pure provato a giocare scorrettamente, addormentando la partita, ma la presenza dei neroverdi in campo era talmente impalpabile che era impossibile non arrivare in porta. Ecco perché capisco Squinzi, che ieri ha detto di essere “preoccupatissimo per la stabilità”. E così Milito e gli altri hanno salvato l’onore degli sconfitti. Peccato che poi, qualche ora più tardi, si sia consumato l’episodio meno sportivo del fine settimana calcistico, quello in cui un giudice chiude una curva per “discriminazione territoriale”. La discriminazione territoriale prende immediatamente il posto del razzismo e dell’omofobia nella lista dei babau del politicamente corretto. D’ora in poi i giocatori discriminati territorialmente abbandoneranno il campo in segno di protesta, gli allenatori faranno proclami contro la discriminazione territoriale, ci saranno in proposito un duro monito del Quirinale e una sentenza della Corte di Strasburgo. “Territoriale” diventerà un aggettivo così minaccioso che per riacquistare un po’ di serenità calcistica bisognerà guardare a ripetizione le “pettinate” di Nicola Berti sul sito della Gazzetta. Quella in cui ad esempio accusa Llorente di essere in realtà George Michael travestito da attaccante, confortato da inoppugnabili osservazioni empiriche: “In campo è castano, in conferenza stampa è biondo”.

FQ. di Jack O'Malley   –   @jack_omalley

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