La Fornero racconta: «Così abbiamo salvato l’Italia»

Gli inviti all’estero, l’orgoglio e la difesa di quelle riforme.

La politica? «Quanta vigliaccheria»

«No, non ho alcun rimpianto». Elsa Fornero risponde senza nemmeno un’esitazione. Di quell’esperienza al governo, capitata quasi per caso - «non avrei mai pensato di fare il ministro» - ricorda ancora tutti i dettagli. L’orgoglio, le soddisfazioni, le tante amarezze. «Ma sono abituata a guardare avanti, mai indietro». Tra qualche giorno l’ex ministro parlerà a Bonn, in Germania. È stata invitata a una conferenza sulle riforme del mercato del lavoro organizzata dalla Banca Mondiale e dall’Ocse, dopo una serie di impegni internazionali in campo scientifico, dedicati alla ricerca sulle politiche del welfare, che l’hanno portata, tra l’altro, al Max Planck Institut di Monaco di Baviera, all’incontro annuale degli economisti francesi e la porteranno presto a Pechino.

Approfittando di una breve vacanza in Valdigne, sta finendo di scrivere i suoi prossimi interventi. Durante una pausa accetta di raccontare i suoi diciotto mesi a Palazzo Chigi. Le riforme, la consapevolezza di aver sempre lavorato nell’interesse del Paese. Ma anche gli scontri con i partiti - «Ho avuto molta difficoltà a capire, e ancor di più ad apprezzare le logiche e il funzionamento della politica italiana» - e con il mondo dell’informazione. «Accanto a rare voci che cercavano di capire, ho trovato una selva di voci pronte soltanto a urlare e a inveire, con scarsissima attenzione ai fatti».

Inevitabilmente si torna a quel novembre di due anni fa. L’esperienza al governo di Elsa Fornero inizia con una telefonata di Mario Monti. « Non avevo mai pensato che un giorno avrei fatto il ministro. Eppure la combinazione della stima per Monti, e della percezione - che solo i tecnici avevano in pieno - della drammaticità della situazione finanziaria mi spinsero ad accettare immediatamente». Succede tutto in pochi giorni, il trasferimento a Roma, il giuramento da ministro. «Ho avuto giusto il tempo di consultare la mia famiglia. Mio marito mi disse: “Vorrei dirti di no, ma lo devi fare”». Nel ricordo dell’ex titolare del Lavoro traspare il senso del dovere. Il significato di quella scelta è tutto in poche parole. «Quella chiamata l’ho vissuta proprio così. Ho ancora in mente l’atmosfera di crisi, l’estrema urgenza della situazione che molti hanno dimenticato. Tutti ci chiedevano di agire il prima possibile, dopo ci hanno chiesto perché avevamo agito così in fretta, ovviamente trascurando molti particolari». Ma nessun eroismo. «Il lavoro che ho fatto è stato solo la risposta a un compito che mi era stato assegnato». E il compito assegnato era niente meno quello di varare in venti giorni la riforma delle pensioni. «E dopo venne quella del mercato del lavoro…». Oggi quei provvedimenti li difende con orgoglio. «Due riforme che l’Italia si era impegnata a varare davanti ai nostri partner europei. Due riforme che sono state apprezzate, soprattutto all’estero». Le polemiche ormai appartengono al passato. Eppure nei mesi successivi in tanti le hanno chiesto la stessa cosa. Valeva davvero la pena di assumersi quella responsabilità? «Io invece questa domanda non me la sono mai voluta fare. Mi è stato chiesto qualcosa e io l’ho fatto, al meglio delle mie capacità. In mente avevo solo l’interesse del Paese. Ecco perché oggi non ho rimpianti».

«Appena arrivata a Roma la prima impressione è stata molto positiva». Nelle ultime settimane del 2011 la nascita dell’esecutivo Monti mette quasi tutti d’accordo. I partiti salutano con sollievo i primi passi del governo tecnico. «Eravamo generalmente considerati come gli unici in grado di fare qualcosa. I mesi iniziali sono stati caratterizzati da una rara collaborazione tra parlamento e governo». Poi nel giro di poco tempo l’atmosfera cambia. «Passata l’emergenza finanziaria, finito il dibattito quotidiano sullo spread, anche l’interesse dei partiti verso il nostro governo ha iniziato a diminuire». A Palazzo Chigi se ne accorgono immediatamente. «La collaborazione che era iniziata con tanto entusiasmo finì con la stessa rapidità con cui era nata».

Tra la politica e il governo Monti si instaura un rapporto di sopportazione. Neanche troppo dissimulato. In Parlamento, Elsa Fornero finisce spesso al centro delle critiche. Soprattutto, ma non solo, dell’opposizione. Uno scontro culminato qualche mese più tardi con la presentazione, da parte dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, di una mozione di sfiducia individuale, respinta a larga maggioranza. «Chissà, forse sono io che non capisco come funziona la politica - riflette oggi l’ex ministro - Eppure di quell’esperienza ricordo ancora con amarezza gli attacchi personali, anche molto forti. Magari accompagnati da una pacca sulle spalle: “Ministro, niente di personale”». Una ferita che a mesi di distanza rimane aperta. «Io ero a Roma per svolgere un compito. Peraltro sono sempre stata ben disposta ad accettare tutte le critiche nel merito di quello che stavo facendo. Ma gli attacchi alla mia persona, o peggio alla mia famiglia, non li ho mai capiti. In quei mesi ho subito atteggiamenti di vigliaccheria, anche con connotazioni fasciste. Chiaramente discriminatori perché considerata donna e quindi diversa, senza alcun partito o organizzazione sindacale alle spalle, da ostacolare e ridicolizzare in tutti i modi... Ma devo anche ricordare casi, purtroppo isolati, di solidarietà di singoli parlamentari».

Oltre il Parlamento, i giornali. Spesso sotto i riflettori, Elsa Fornero finisce per scontrarsi con una realtà conosciuta fino ad allora soltanto dall’estero. A scatenare le polemiche su diversi organi di stampa è una sfortunata frase sui giovani italiani troppo “choosy”, ossia “esigenti’. «Peccato che io avevo sostenuto esattamente la tesi contraria. Anche oggi chiunque può cercare in rete quell’intervento, riascoltarlo e rendersi conto di come le mie parole siano state distorte. Ma le calunnie, una volta partite, è difficile fermarle». Quel discorso nella sede di Assolombarda lo ricorda bene, nonostante sia passato quasi un anno. «Avevo spiegato che oggi i giovani sono in grande difficoltà. Non hanno alcuna possibilità di scegliere. Anzi, la nostra riforma del lavoro era stata varata proprio per offrire loro maggiori opportunità. E pensare che in seguito sono stata anche criticata per aver ridotto la flessibilità… Poi raccontai che un tempo, da professoressa, dicevo ai miei studenti di non essere troppo choosy». Apriti cielo. «È stato quello il mio errore - ammette oggi Elsa Fornero - Ho usato un termine inglese, forse ho dato l’impressione di essere un po’ snob. Ancora oggi non so perché mi è uscita quella parola. Ma può capitare di sbagliare».

Dai giovani choosy, alla discussa intervista al Wall Street Journal. Il posto di lavoro non è un diritto, spiega il ministro. Una parte della stampa attacca, accusandola di aver messo in discussione il diritto al lavoro. «Le dico solo che lo stesso giornalista che mi aveva intervistato ammise il suo sconforto davanti a quelle polemiche. Anche lui aveva perfettamente capito che parlavo del singolo posto di lavoro. E ne sono ancora convinta. Dobbiamo difendere il diritto al lavoro di ogni singola persona, non le singole posizioni lavorative. Si deve intervenire, con professionalità, sull’occupabilità di ciascuno. E in caso di perdita del posto, offrire un’altra chance. Ecco perché la nostra riforma punta molto sull’inclusione. È uno dei grandi obiettivi di quel provvedimento: tutte le persone devono essere in grado di lavorare e trovare un’occupazione. A partire dai giovani e dalle donne, i più emarginati».

«Ma ho scoperto che dei temi veri, degli approfondimenti, non interessava pressoché nulla. Quello che interessa è la polemica. E dire che ho anche rifiutato la pensione da ministro». Comunque la si pensi su Elsa Fornero, è una scelta che merita rispetto. Una decisione lontana anni luce dal contesto in cui è maturata. «Avevo il diritto di ritirarmi dal lavoro da ministro - spiega - Mi sarebbe bastato dimettermi dall’università anche solo un minuto prima. Così facendo avrei ricevuto una pensione più che doppia rispetto a quella che invece prenderò tra cinque anni come professore. L’ho fatto per la mia coscienza. Lo consideravo un inaccettabile privilegio, come le pensioni d’oro, frutto delle distorsioni di quel metodo retributivo di calcolo delle pensioni, che l’applicazione del metodo contributivo eliminerà. Almeno per il futuro».

E forse non è un caso se al termine di quell’esperienza l’ex ministro del Lavoro abbia deciso di chiudere con la politica. «La nascita di Scelta Civica? Il governo è stato tenuto rigorosamente al di fuori, era una questione personale del Presidente». Eppure per mesi il suo nome è stato accostato a questa o quella lista elettorale. Tutti pensavano a un suo impegno in Parlamento. «Ho sempre pensato che il nostro fosse un impegno a termine, io almeno l’ho sempre vissuta così». Lo schema era chiaro: il governo tecnico doveva entrare in gioco in un momento particolarmente difficile per il Paese, avviare riforme strutturali e inevitabilmente impopolari, «e instradare il Paese su un percorso che la politica avrebbe dovuto proseguire». Dopo un attimo di silenzio, la conclusione. «Chissà, forse la mia visione era un po’ ingenua. Eppure interpreto in questa chiave anche il governo delle larghe intese (la nostra “strana maggioranza”) di Enrico Letta. Sono convinta che il presidente del Consiglio intenda proseguire quel cammino».

Lasciato il Palazzo, la gente la ferma ancora per strada. «Adesso c’è molta più partecipazione. In tanti mi riconoscono un certo coraggio. Spesso qualcuno mi dice: “Ministro, lei è stata lasciata troppo sola”. Delle nostre riforme discuto molto più volentieri fuori dall’Italia. Questo ha aiutato a stemperare alcune polemiche». Poche settimane fa, ad esempio, era in Francia, con il ministro Pierre Moscovici e l’ex presidente della Bce Jean-Claude Trichet a Les Rencontres Economiques d’Aix-en-Provence. Nessun distacco dal nostro Paese. «Continuo a seguire da vicino la vita pubblica italiana, considerandolo un dovere di cittadinanza». Comprese le polemiche di questi giorni. Dalla recente condanna di Silvio Berlusconi nel processo Mediaset alle conseguenti difficoltà dell’esecutivo. «Da cittadina sono contenta quando il nostro Paese dà una buona immagine di sé all’estero. E mi avvilisco quando non succede. Questo è uno di quei momenti». E se fosse ancora al governo? «Ogni tanto ci penso… Probabilmente vivrei queste giornate con lo stesso nodo alla gola di quei giorni. Sono certa che alcuni ministri provano la stessa sensazione». Difficile fare paragoni, ma un pensiero lo dedica alla responsabile dell’Integrazione Cécile Kyenge. «Nei suoi confronti sono stati mostrati gli stessi atteggiamenti fascisti di cui parlavo prima. Mi dispiace molto, le esprimo tutta la mia solidarietà».

Marco Sarti, linkiesta, 19/8

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