Caro Pd, la riforma elettorale non si fa con i grillini

Sulle modifiche della legge elettorale a essere più vicini sono PD e PDL

 non il Movimento 5 stelle

Premesso che è piuttosto illusorio a Costituzione invariata, soprattutto con due Camere che danno la fiducia con elettorati diversi, attendersi la governabilità solo da una riforma elettorale, le variabili politiche sono comunque molto difficili da mettere insieme per produrre un testo che non peggiori il porcellum, specie dal punto di vista della democrazia governante.

Anzitutto è bene intendersi sul Movimento 5 Stelle, la cui impostazione in materia è obiettivamente opposta a quella del Pd, come dimostrata dall’intervista a L’Unità del 6 agosto di Vito Crimi. I grillini non vogliono riformare questo sistema, vogliono deliberatamente portarlo al collasso. Di conseguenza non sono favorevoli a riforme che portino alla governabilità, a identificare un chiaro vincitore la sera delle elezioni, ma all’esatto contrario. Essi sono invece per un sistema più proporzionale perché desiderano anche nella prossima legislatura un Governo debole Pd-Pdl e lucrare sull’opposizione ad esso. Per di più, essendo M5S un partito personale, sono anche contrari ai collegi uninominali che danno più visibilità ed autorevolezza ai singoli eletti. Vorrebbero poi, come ciliegina sulla torta, ridurre l’autonomia di questi ultimi con la proposta stravagante del recall, della possibile decadenza anticipata.

Paradossalmente le distanze sono minori col Pdl sul punto della democrazia governante, in quanto il Pdl pensa di poter risultare vincente in uno scontro politico nazionale. Identiche invece le distanze sul collegio uninominale perché anche il Pdl, come partito personale, ne diffida.

Posta questa lettura difficilmente contestabile ne deriva che l’unica riforma possibile non peggiorativa sembra essere quella di un premio di maggioranza nazionale anche al Senato da assegnarsi dopo un eventuale secondo turno di ballottaggio intorno ai primi due candidati Premier, analogamente al sistema dei comuni. A Costituzione invariata occorrerebbe un doppio ballottaggio Camera e Senato, una forte complicazione, ma vi sarebbe la ragionevole possibilità di un risultato identico. D’altronde questo problema esiste comunque e altri sistemi, come quello attuale, possono persino aggravarlo. Per ciò che concerne l’individuazione dei singoli eletti, non essendovi consenso sui collegi, sembra inevitabile introdurre la preferenza doppia, puntando quanto meno a suddividere le attuali circoscrizioni in altre più piccole.

Per tutto ciò è bene tenere presente che sulla riforma elettorale non bastano volenterosi attivismi, ma serve anche e soprattutto una seria vigilanza sulla congruenza tra obiettivi e soluzioni. Vigilanza sia contro lo status quo sia contro i forti rischi di restaurazione proporzionalista che miri a riprodurre a oltranza le larghe intese. Esse servono solo come eccezione temporanea per varare regole che le rendano non riproducibili.

Stefano Ceccanti*L’inkiesta, 8/8

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