Pulsioni forcaiole a sinistra, difesa mistica

del corpo del capo a destra. Se il paese diventasse ostaggio

di questi irrazionali e contrapposti umori della piazza, sarebbe fritto. Che le larghe intese fossero l’anticamera di una pacificazione nazionale, era il sogno generoso solo di qualche anima bella. Ma una nuova guerra civile permanente i lavoratori, le imprese e le istituzioni di questo paese non se la possono permettere. Non tanto per le conseguenze su pil, occupazione e finanza pubblica. Ma soprattutto perché le stesse ragioni del nostro stare insieme rischierebbero di indebolirsi rovinosamente. Da Berlusconi, dunque, mi aspetto molto. Mi aspetto che, proprio nel momento forse più aspro della sua storia politica e umana, sappia riproporsi come un grande e autorevole leader: realista con il governo Letta (lasci ad altri la responsabilità di scaricarlo) e – insieme – capace di riprogettare un partito (o un movimento) liberale di massa. Senza, però, ripetere gli errori commessi vent’anni fa. Nel suo profilo tutto risorgimentale della letteratura cinquecentesca, Francesco de Santis presenta Guicciardini come una specie di archetipo del fallimento storico dell’Italia, dovuto anche a causa del cinismo con cui uomini della sua statura avevano sacrificato l’interesse generale al proprio “particulare”, finendo con l’esserne travolti; mentre era stato Machiavelli a indicare la via dell’iniziativa, del riscatto della penisola, del principe demiurgo capace di imporsi a colpi di virtù e fortuna. Ecco, confesso di avere ancora fiducia in un Berlusconi più Machiavelli e meno Guicciardini. Michele Magno al Direttore Foglio, 3/8

Fiducia che le fa onore. E sono d’accordo sul resto. Ma sulle “ragioni del nostro stare insieme” direi che si sono già indebolite. Rovinosamente. G. Ferrara 3/8

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