L'orgoglio del prigioniero libero

Il Cav. contrattacca ma non sfascia: viva l’Italia

Il Cavaliere condannato si ribella all’accanimento “senza eguali” inflittogli “da una parte” di magistrati faziosi e persecutori (“soggetto irresponsabile”), ma il governo di Enrico Letta non lo ha nemmeno nominato. Avanti con Forza Italia, malgrado la sopraggiunta limitazione della “mia libertà personale” e la probabile decadenza dall’incarico parlamentare. Campagna elettorale imminente? Possibile, non scontato, conviene sfasciare tutto adesso? In un clima di confusione, rabbia e stordimento, Silvio Berlusconi ha riunito ieri sera il suo stato maggiore a Palazzo Grazioli, e poi ha contrattaccato con un videomessaggio. Aveva appena ascoltato i suoi avvocati, Niccolò Ghedini e Franco Coppi, che gli hanno spiegato gli effetti della sentenza di condanna definitiva, con il Senato chiamato a votare sul suo esilio dal Palazzo (come stabilito dalla legge anticorruzione approvata dal governo Monti). Il Cav. ha ringraziato amici e famigliari, poi ha ricapitolato la sua possente e controversa vicenda imprenditoriale e politica, ha rivendicato successi, meriti pubblici e onestà di condotta. Provato, ma lucido e battagliero. Soprattutto non distruttivo: “Dal male dobbiamo saper far uscire un bene”. Nelle orecchie berlusconiane risuonavano anche le parole di Giorgio Napolitano, intervenuto per tamponare i possibili danni, “il paese ha bisogno di ritrovare serenità e coesione su temi istituzionali di cruciale importanza”. Il presidente della Repubblica ha lasciato intendere che per lui nulla cambia, ha aperto all’ipotesi di riforme in tema di giustizia (“le condizioni ci sono”), e dunque il governo deve andare avanti. E anche Enrico Letta, il presidente del Consiglio, ieri ha lavorato tutto il giorno, ha incontrato il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, passando ininterrottamente da una riunione all’altra, affettando uno studiato disinteresse per la camera di consiglio della Cassazione che invece, nelle stesse ore, teneva sospeso e trepido il mondo berlusconiano. “Dobbiamo decidere che fare, ma non possiamo continuare a stare in silenzio dopo quello che è successo”, diceva al Foglio Daniela Santanchè, a caldo, aspettando d’incontrare Berlusconi. Il destino del governo sembra, in un modo o nell’altro, dipendere dalle prossime mosse del Cavaliere, il prigioniero libero, lui che tra pochi mesi, completato l’iter burocratico, si troverà probabilmente nella condizione di dover scegliere tra gli arresti e i lavori socialmente utili. “La sentenza è da rispettare, applicare ed eseguire”, ha detto Guglielmo Epifani, segretario del Pd, “l’azione giudiziaria e l’azione di governo debbono tenersi distinte per il bene del paese. Adesso il Pdl sia rispettoso della magistratura, eviti forzature”. Il passaggio appare delicatissimo, specie in queste prime ore d’umori confusi e neri. Il voto del Senato potrebbe scatenare violente tensioni tra i partiti che compongono la maggioranza, e all’interno del Pd. Alcuni, non solo nel centrosinistra, sostengono che Berlusconi potrebbe decidere di dimettersi lui, prima che si avvii un meccanismo che gli avversari delle larghe intese potrebbero utilizzare per divellere Letta. Se il Pdl resistesse, e se il Cavaliere volesse davvero arrivare al voto in Aula (a scrutinio segreto), Beppe Grillo e Nichi Vendola batterebbero la grancassa facendo leva sui riflessi condizionati del Pd (“saranno loro a salvarlo”, ha detto Grillo). E dall’interno del Pd risponderebbero, facendo sponda, gli osservatori interessati come Matteo Renzi, che combatte una sua battaglia di prospettiva per la presa del potere nel partito e individua in Enrico Letta un pericoloso avversario sul suo cammino, un ostacolo da rimuovere. E allora il Cavaliere che farà? Difficile che possa assecondare gli istinti più viscerali di una parte del suo movimento politico: nessuna forzatura, niente dimissioni di massa, pure auspicate da alcuni parlamentari del Pdl. Alcuni uomini vicini al capo dicono che Berlusconi non abbia interesse a provocare subito una crisi di governo, “non gli conviene – spiegano – e in politica, come negli affari e nella vita, si fanno soltanto cose utili”. Chiuso nel suo Castello, prigioniero libero d’una giustizia considerata ingiusta, Berlusconi riflette intorno a una lunga campagna elettorale da giocare sui temi della giustizia, convinto della necessità di utilizzare a suo vantaggio, prima o poi, gli editti dei togati e gli istinti manettari del centrosinistra.

“Dobbiamo decidere che fare, ma non possiamo continuare a stare in silenzio dopo quello che è successo”, dice al Foglio Daniela Santanchè, a caldo, mentre assieme agli altri dirigenti del partito attende di incontrare Berlusconi a Palazzo Grazioli. Il destino del governo sembra, in un modo o nell’altro, dipendere dalle prossime mosse del Cavaliere, il prigioniero libero, lui che tra pochi mesi, completato l’iter burocratico, si troverà probabilmente nella condizione di dover scegliere tra gli arresti e i lavori socialmente utili. “La sentenza è da rispettare, applicare ed eseguire”, ha detto Guglielmo Epifani, segretario del Pd, “l’azione giudiziaria e l’azione di governo debbono tenersi distinte per il bene del paese. Adesso il Pdl sia rispettoso della magistratura, eviti forzature”. Il passaggio appare delicatissimo, specie in queste prime ore d’umori confusi e neri. In pochi mesi il Senato si troverà a dover votare la sopravvenuta inelegibilità del Cavaliere, un voto che potrebbe scatenare violentissime tensioni tra i partiti che compongono la maggioranza, e all’interno del Pd. Alcuni, non solo nel centrosinistra, sostengono che Berlusconi potrebbe decidere di dimettersi lui, prima che si avvii un meccanismo che gli avversari delle larghe intese potrebbero utilizzare per divellere Letta. Se il Pdl resistesse, e se il Cavaliere volesse davvero arrivare al voto in Aula (a scrutinio segreto), Beppe Grillo e Nichi Vendola batterebbero la grancassa facendo leva sui riflessi condizionati del Pd (“saranno loro a salvarlo”, ha detto Grillo). E dall’interno del Partito democratico risponderebbero, facendo sponda, gli osservatori interessati come Matteo Renzi, che combatte una sua battaglia di prospettiva per la presa del potere nel partito e individua in Enrico Letta un pericoloso avversario sul suo cammino, un ostacolo da rimuovere.

E allora il Cavaliere che farà? Pare difficile che Berlusconi possa assecondare gli istinti più viscerali di una parte del suo movimento politico: nessuna crisi, niente dimissioni di massa, pure auspicate da alcuni parlamentari del Pdl (Michaela Biancofiore ha già annunciato che lascerà il suo seggio alla Camera per solidarietà con il grande capo). Alcuni uomini vicini al Cavaliere dicono che Berlusconi non abbia alcun interesse strategico a provocare lui una crisi di governo, “non gli conviene – spiegano al Foglio – e in politica, come negli affari e nella vita, si fanno soltanto cose utili”. Chiuso nel suo Castello, prigioniero libero d’una giustizia considerata ingiusta, Berlusconi riflette intorno a una lunga campagna elettorale giocata sui temi della giustizia, ed è forse tentato dall’utilizzare lui, a proprio vantaggio, gli istinti pavloviani e manettari del centrosinistra. F.Q.di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo

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