SIENA PRONTI I RINVII A GIUDIZIO SU ANTONVENETA

Oggi l'inchiesta su Mps avrà un primo punto fermo.

A Siena i pm Nastasi, Natalini e Grosso chiudono le indagini riguardanti il dossier sull'operazione Antonveneta, che vede indagati gli ex vertici della banca insieme ad altre otto persone, tra dirigenti e ex revisori dei conti. La richiesta sarà di rinvio a giudizio per ostacolo alla vigilanza, manipolazione del mercato e falso in bilancio e in prospetto.

Per qualcuno le responsabilità sono parziali, e si parla piuttosto di complicità. All'ex presidente Giuseppe Mussari e all'ex dg Antonio Vigni vengono invece contestati tutti i reati. I due avrebbero agito, secondo gli inquirenti, servendosi dell'ex responsabile del settore Finanza Gianluca Baldassarri, indagato per concorso in ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto, in custodia cautelare da febbraio scorso relativamente al secondo filone di indagine, quello sui derivati (sullo sfondo c'è quindi anche l'associazione a delinquere, trattandosi di più di due persone coinvolte nell'operazione).

Il primo dossier su Mps, firmato dalla procura di Siena e dal nucleo valutario della Gdf, conta migliaia di pagine, in cui vengono ricostruiti i passaggi che hanno portato Mps ad acquisire nel 2008 Antonveneta, venduta dal Santander per 9,3 miliardi, a cui si aggiungono 8 miliardi di debiti che Mps dovette saldare in tempi rapidi, senza aspettare la restituzione dei corrispettivi crediti da parte del mercato, e per i quali chiese anche un prestito da 5 miliardi alla stessa banca spagnola.

Un grande esborso di soldi, dunque, per il quale l'istituto senese ha dovuto drenare liquidità, mettendo a repentaglio la stabilità di bilancio. Ma soprattutto un'operazione che, secondo gli inquirenti, non sarebbe stata possibile se Mps avesse mostrato la sua reale situazione patrimoniale. Il Monte per acquistare Antonveneta realizzò infatti un aumento di capitale da 5 miliardi ed emise un miliardo di titoli Fresh (obbligazioni convertibili).Quest'ultimo punto per i procuratori nasconde irregolarità: alcuni sottoscrittori - che volevano avere la garanzia di cedole sui titoli nonostante il Fresh dia la possibilità di riceverle solo in caso di distribuzione di dividendi - sono stati garantiti da Mps con una "indemnity side letter", tenuta all'oscuro di Bankitalia.

Questa sorta di accordo parallelo nascosto avrebbe in sostanza alterato la natura della patrimonializzazione, facendo fittiziamente passare per ricapitalizzazione ciò che invece doveva essere considerato un debito. Per Bankitalia mancherebbero all'appello 76 milioni.

A collocare i Fresh è stata Jp Morgan. Gli inquirenti sono arrivati fino a Londra per mettere a fuoco le possibili responsabilità della banca straniera. Ma non è stato il solo viaggio oltrefrontiera. I pm sono arrivati anche a Madrid per confrontarsi con Emilio Botin, presidente del Santander, come persona informata dei fatti. Con lui sarebbero state affrontate altre questioni, tra cui la mancata due diligence sulla banca padovana e il perché Mps non si avvalse di un advisor.

Va detto però anche ciò che non ci sarà nelle indagini. Intorno all'operazione Antonveneta nei mesi passati si è alimentata una corsa al retroscena politico, nonostante la riservatezza dei pm senesi. In un cortocircuito mediatico sono state ipotizzate ruberie, tangenti e finanziamenti illeciti a politici e partiti.

Niente di tutto questo compare nel fascicolo della procura. I reati ipotizzati sono di natura tecnico-finanziaria. Con la chiusura delle indagini, l'udienza preliminare dovrebbe essere programmata per il prossimo autunno. I pm dovranno ora proseguire il lavoro di indagine sul secondo filone di inchiesta, quello relativo appunto ai prodotti derivati e ai manager infedeli, abituati secondo gli inquirenti a fare le "creste" sulle operazioni finanziarie. Sara Monaci per il "Sole 24 Ore", 30/7

2 - CON I DIKTAT EUROPEI IL RILANCIO ORA È A RISCHIO

Alessandro Graziani per il "Sole 24 Ore"

I 3,9 miliardi di Monti Bond concessi dallo Stato a Mps dovrebbero rappresentare la ciambella di salvataggio per risollevare la banca dal deficit patrimoniale dovuto ad alcuni anni di mala-gestio e alle svalutazioni sul maxi-portafoglio di BTp. Ma le condizioni di quel prestito di Stato rischiano di trasformare la ciambella di salvataggio in una zavorra che rischia di affossare il Monte.

Già le condizioni del prestito erano particolarmente onerose: tasso d'interesse del 9% annuo da pagarsi in contanti o in azioni, in caso che i conti della banca siano in rosso. Lo scorso 1° luglio Mps ha già dovuto staccare il primo assegno da 171 milioni allo Stato per gli interessi pregressi. Alle difficoltà oggettive del piano di salvataggio potrebbero ora aggiungersi nuove condizioni più onerose imposte dalla Ue, chiamata a pronunciarsi per validare il piano degli aiuti di Stato.

Si parla di nuovi esuberi di personale, di tetto agli stipendi dei manager, della possibile sospensione del pagamento delle cedole per alcune categorie di obbligazionisti dei prestiti ibridi. Condizioni ancora non definitive e anzi, come ha specificato ieri il Tesoro, tuttora oggetto di negoziato.

È certo però che ieri, al quartier generale di Mps a Siena, le indiscrezioni sulle richieste della commissione Ue non sono state gradite. Anche perché, nel merito dei numeri, ci sono sostanziali differenze di valutazione. A partire dalle contestazioni sui risparmi di costo derivanti dai 4.300 esuberi di personale. Con Bruxelles che non tiene conto del fatto che il costo del personale in esubero (spesso con anzianità elevata) è ben superiore a quello dei nuovi assunti. Con un saldo di spese completamente diverso da quello conteggiato dalla Ue.

Se sui numeri ci sarà tempo e modo di discutere tra banca, Governo italiano e commissione europea (il giudizio finale è atteso a fine estate), stupiscono le continue dichiarazioni avventate di Bruxelles su una grande banca italiana quotata in Borsa (ieri i titoli hanno perso oltre il 4%).

Il piano di salvataggio di Mps è già «tirato». Se le condizioni dovessero davvero diventare più onerose, non resterebbe che la nazionalizzazione. Perchè il deficit di capitale, che c'è e non è sanabile a breve, andrà comunque tamponato per consentire alla banca di continuare a operare senza ridurre drasticamente l'attivo dei crediti a famiglie e imprese.

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