Il partito ammazza Ilva

In Puglia e all’estero si desidera la morte dell’acciaio italiano

Il commissario straordinario dell’Ilva, Enrico Bondi, dovrà riferire al ministro dell’Ambiente per avere fatto emergere, in maniera legittima, delle statistiche obsolete e avere evidenziato una molteplicità di fonti inquinanti, diverse dallo stabilimento tarantino, come causa delle malattie registrate nell’area. E’ l’ennesimo inghippo. Il risultato? La modernizzazione degli impianti (chiesta dalla magistratura di Taranto, disposta dal governo e poi frenata dai giudici stessi) è in stallo. Il rinnovamento è però necessario per “fare acciaio” in Italia. Allora la questione è una sola: l’Ilva deve chiudere o no? Le spinte a chiudere sono forti. Lo dice il senatore Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria che ha avviato l’indagine conoscitiva sull’Ilva: “C’è un partito che in modo sotterraneo e opaco punta allo smantellamento come risposta all’emergenza ambientale. Esito che farebbe la felicità dei soggetti, talvolta legati alla malavita organizzata, che possono essere interessati alle opere di bonifica senza che la produzione sia in corso; oppure ai concorrenti internazionali”. Un partito fatto da quella piccola borghesia locale, professionale e imprenditoriale, che “mangiava” sull’Ilva quand’era pubblica (era l’Italsider) e che vorrebbe tornare a farlo. Ci sono poi i competitor stranieri: aspettano la morte del primo impianto siderurgico d’Europa per sbarazzarsi di un avversario. Non solo, se l’Ilva dovesse rispettare le prescrizioni dell’Aia, avrebbe le tecnologie più avanzate al mondo: fisserebbe uno standard elevatissimo per tutti i produttori d’acciaio, che – visti i profitti oggi magrissimi della siderurgia – non vogliono spendere nulla.

© - FOGLIO QUOTIDIANO, 18/7

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