In missione si va in ginocchio e col rosario in mano

dice il Papa. Clero triste e “ipocrita”. La strigliata ai novizi

fa parte di un programma di Bergoglio: essere preti, non scegliere un lavoro

Chi avesse ascoltato l’omelia di Papa Francesco domenica scorsa in San Pietro, avrebbe avuto la netta sensazione di assistere alla ripresa di un discorso lasciato in sospeso tempo fa. “L’evangelizzazione si fa in ginocchio”, ha detto il Papa alle migliaia di seminaristi e novizie giunti a Roma per festeggiare la loro giornata nell’ambito dell’Anno della fede aperto lo scorso ottobre da Benedetto XVI. In ginocchio, uscendo e camminando verso le periferie esistenziali, ha precisato Francesco con spirito gesuita mentre stava in piedi dietro il leggio ligneo che ormai contraddistingue ogni sua omelia. Una missione da compiere con il rosario in mano, come Bergoglio aveva ribadito il giorno prima, in un’affollatissima Aula Nervi. Un richiamo a quanto già detto mesi fa, appena eletto, nel corso della solenne messa del Crisma nella basilica vaticana:  ai sacerdoti aveva quasi intimato di sperimentare l’unzione, di uscire dalle parrocchie e dalle sacrestie per non diventare meri “collezionisti di antichità oppure di novità”. Questi sono solo “preti tristi che si perdono il meglio del nostro popolo”, li bollò senza tanti eufemismi il Papa. E in ginocchio devono andarci tutti, a partire da tutti quelli “caduti nell’atteggiamento del sacerdote ipocrita” che si volta dall’altra parte mentre il fratello è “mezzo morto sul ciglio della strada”.

Lui stesso, il Pontefice, ne ha dato l’esempio con la visita di mezza giornata a Lampedusa. Il vescovo di Roma che si fa missionario e va “quasi alla fine del mondo” a toccare con mano “le piaghe di Cristo” di cui solo una settimana fa aveva parlato nella cappella di Santa Marta.

Parole che sanno tanto di programma di governo pastorale, perché non solo di riforma della curia sono fatte le giornate di un Pontefice. E la sua agenda Francesco la centellina giorno dopo giorno, tra discorsi letti mentre parla con gruppetti di ambasciatori ricevuti nella Sala Clementina (quello che padre Lombardi definì “il primo grande e significativo intervento personale del Papa sul tema della crisi economica mondiale”) o in una delle classiche omelie del mattino nel residence in cui ha scelto di abitare.

E di cose da dire ne aveva molte anche sabato scorso, quando in Aula Nervi ha tenuto un discorso che sembrava non terminare mai, sempre davanti ai seminaristi e alle novizie. Bergoglio è entrato nella sala con un pacco di fogli più spesso del solito, segno che i temi da affrontare con quei giovani erano numerosi. A un certo punto, guardando l’orologio, ha chiesto al presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella, seduto lì a fianco, “quanto tempo rimanesse ancora”. Alla risposta “anche fino a domani, Santo Padre”, Francesco ha quindi domandato scherzosamente se non fosse il caso di far portare “panini e Coca-Cola”.

Al di là dei commenti sulle auto di lusso su cui viaggiano certi preti e suore, Francesco ha interrogato la platea sul senso della chiamata, della vocazione. Che non è un mestiere che si fa dieci anni e poi si cambia vita, e su questo punto Bergoglio ha distolto lo sguardo dai fogli per guardare dritto davanti a sé: “Senza il rapporto costante con Dio, la missione diventa mestiere. Ma da che lavori tu? Da sarto, da cuoca, da prete, lavori da prete, lavori da suora? No. Non è un mestiere, è un’altra cosa”. Ecco perché “non va bene quando sento dire che uno ha ‘scelto’ questa strada”, perché “gli operai per le messe non sono scelti attraverso campagne pubblicitarie o appelli al servizio della generosità, ma sono scelti e mandati da Dio. E’ lui che sceglie, è lui che manda”, ha aggiunto il Papa.

di Matteo Matzuzzi   –   @matteomatzuzzi F.Q. 10/7

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