Più giovani saranno imprenditori a grazie alle

nuove tecnologie

Caio, l’uomo dell’Agenda Digitale: “Servono meno capitali ma tanta creatività”

FRANCESCO MANACORDA –MILANO, La Stampa 9/7

«Sì, nel mondo del lavoro esiste il rischio che ci si focalizzi troppo sulla protezione di ciò che è vecchio, trascurando le opportunità di coltivare quello che è nuovo». Francesco Caio, il manager che guida la Avio, chiamato dal governo a coordinate l’Agenda Digitale e qui alla sua prima intervista nel nuovo ruolo, interviene nel dibattito sulla creazione di lavoro aperto da La Stampa e spiega che «la rivoluzione informatica e tecnologica può e deve dare una spinta a un’imprenditoria più diffusa».

 In che modo può accadere? 

«E’ importante sottolineare che la digitalizzazione abbassa la dimensione media di cui l’impresa ha bisogno per competere. Oggi, proprio grazie a tecnologie disponibili per tutti è molto più facile per un giovane fare impresa di quanto non lo fosse quando mi sono laureato io. Servono capitali, relativamente limitati, ma soprattutto serve tanta creatività che queste nuove tecnologie mettono in gioco. Insomma, fuor di retorica direi che c’è la spinta giusta perché un giovane possa provare a creare qualcosa invece che a cercare semplicemente un posto, tenendo presente che oggi un’azienda può competere sui mercati internazionali, anche se piccola».

 Ma in concreto in quali campi potrebbero svilupparsi queste imprese? 

«Pensiamo all’incrocio fra biotecnologie, tecnologie dei materiali e dell’informazione. È un territorio ancora del tutto inesplorato, che offre ogni tipo di sviluppo. Una rivoluzione il cui percorso non è nemmeno ancora iniziato. Certo è che per vedere sviluppi su questo fronte bisogna creare un ambiente favorevole che vada dall’accademia alla finanza, all’amministrazione pubblica. Proprio oggi (ieri, ndr) la Avio, assieme al Politecnico di Torino e alla Regione Piemonte, ha avviato al seconda edizione di un master grazie al quale diciotto ingegneri faranno 400 ore di lezione in aula e 800 ore nei nostri dipartimenti di ricerca. A loro serve per sviluppare competenze e mestieri, a noi per guardare le cose con uno sguardo più fresco». 

 Se si punta tutto sull’hi-tech l’industria manifatturiera, già in difficoltà, non rischia l’abbandono?  

«Di certo bisogna investire anche sul manifatturiero. E anche qui le tecnologie significano molto, compresi gli sviluppi delle stampanti 3D. Proprio nell’industria manifatturiera, del resto, stiamo vedendo una nuova ondata di robotica; e quei robot qualcuno deve idearli, costruirli e programmarli....».

 Altro dubbio: non siamo di nuovo all’elogio del «piccolo è bello», croce più che delizia del nostro sistema? 

«No, assolutamente. Come è ovvio ci vuole selezione tra le aziende, che devono nascere con l’ambizione di diventare grandi, e ci vuole un ambiente che consenta loro di crescere. Ma bisogna anche guardare al fatto che oggi molte, se non la maggior parte, delle prime 500 industrie mondiali censite da Fortune sono aziende che dieci anni fa non esistevano. Insomma, se da una parte sarebbe ingenuo negare che ci sia la crisi, negare che ci sia un futuro per i nostri ragazzi sarebbe sbagliato e pericoloso»

 Lei è diventato un mese fa una sorta di Commissario per l’Agenda Digitale dell’Italia. Quali sono le priorità? 

«È presto per parlare di priorità, visto che sto ancora raccogliendo e analizzando le tante cose che sono già state fatte. Mi pare però molto importante la decisione di portare l’Agenda Digitale direttamente sotto la presidenza del Consiglio, perché sta a segnalare che queste innovazioni vanno al centro dell’azione di governo, non sono qualcosa di staccato».

 Ma quale sarà esattamente il suo ruolo? 

«Mi sento un po’ come un ambasciatore di un mondo possibile, che per molti versi è però già reale. Ci sono importanti esperienze e innovazioni già fatte, che bisogna mettere insieme, anche facendole dialogare tra di loro. L’Agenda Digitale non è qualcosa di astruso o che riguarda solo i giovani, ma anzi può entrare nella vita di tutti noi». 

 In che modo? 

«Consideriamo i sistemi che gestiscono i posti letto negli ospedali di una città o i una Regione e indirizzano le ambulanze. Oggi in Italia ci sono esempi di tecnologie avanzate e zone dove questo lavoro si fa ancora per fax. Mettere in rete, con un sistema omogeneo, tutti gli ospedali ha un effetto diretto e tangibile sulla qualità della vita dei cittadini».

 Lei ha già avuto in Gran Bretagna un ruolo simile a quello che ricopre in Italia. Che cosa ha imparato là? 

«Che il grande ruolo che il governo può svolgere non riguarda tanto il fare, quanto il definire le regole e gli standard. Un compito che oggi è facilitato dalla tecnologia: Internet è un grande fattore unificante che va usato a fondo».  

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