Scherzo da toghe. Chi gode e chi no, se la Consulta
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ripristina il proporzionale (Renzi no)
Il Parlamento langue, la Corte prepara una sentenza choc. Grandi manovre nel Pd dalemian-dc, e anche il Cav…
A dispetto del memo di Napolitano – “ricordate che sul porcellum è chiamata a pronunciarsi la Consulta e non sarebbe bello delegarle la riforma” – nel Pd come nel Pdl va allargandosi il fronte trasversale di coloro che, messo da parte l’orgoglio per il ruolo del Parlamento, tutto sommato sarebbero ben lieti di lasciare alla Corte suprema l’onore e l’onere di cambiare la legge elettorale. Il motivo, dal loro punto di vista, è che solo la Consulta potrebbe precostituire il terreno per il ritorno, poco dicibile, a un sistema proporzionale puro che piace a molti più attori politici di quanto si possa pensare.
La mappa interessa l’area del Pd che va da Dario Franceschini (non ostile anche Enrico Letta) a Gianclaudio Bressa, anime ex dc, a Luciano Violante a Massimo D’Alema (saltuariamente bipolarista, prevalentemente “tedesco”). In area Pdl? Dal pragmatico Silvio Berlusconi a Gaetano Quagliariello fino a Cicchitto. Passando per Beppe Grillo, sicuramente avvantaggiato, nella fase calante, da uno schema proporzionale. Come dice Osvaldo Napoli “senza premio di maggioranza, riesci ad avere molti più parlamentari, lo sa Berlusconi e lo sa anche M5s”. Riflessioni ben presenti ai fautori del bipolarismo: allarmatissimi, temono che la lentezza del percorso parlamentare della commissione per le Riforme possa essere studiata o comunque congeniale all’attesa delle mosse dei giudici della Consulta previste per l’autunno. Gli indizi di grandi manovre sotto traccia sono ravvisabili nelle pieghe del dibattito teorico sulle riforme. E solo la pesantezza lessicale li ha messi al riparo dalla scenaristica corrente. “Sento puzza di bruciato”, dice al Foglio Roberto Giachetti, bipolarista del Pd che contro la legge Calderoli ha digiunato per settimane: “Ricordo che Franceschini e Quagliariello avevano chiuso un accordo per l’abolizione del premio di maggioranza già alla fine di maggio e, se non si fosse lacerato il Pd, il ‘maialinum’ sarebbe cosa fatta”. Valerio Onida, costituzionalista molto ascoltato al Quirinale e membro del comitato dei saggi, che non ha mai fatto mistero della sua predilezione per il parlamentarismo spinto, ha sostenuto di recente che la Corte costituzionale potrebbe tranquillamente ammettere il ricorso della Cassazione (sollevato da un gruppo di cittadini-elettori guidati dall’avvocato Aldo Bozzi) e decidere di pronunciarsi sul porcellum, dichiarando incostituzionale, questa l’ipotesi di Onida, il premio di maggioranza. La risultante sarebbe per l’appunto una legge proporzionale pura, per di più con la possibilità per le forze politiche di continuare con le liste bloccate, perché, sempre secondo questa scuola di pensiero, la Corte non si occuperebbe della questione “nominati”. Altri, vedi Stefano Ceccanti anche lui saggio del Pd nel comitato dei trentacinque, la vedono in modo diametralmente opposto: “I giudici costituzionali non dovrebbero ammettere il ricorso della Cassazione perché non è previsto un accesso diretto dei cittadini alla Consulta”, ha detto al convegno dell’Associazione dei costituzionalisti italiani.
“Sarebbe un golpe”, arriva a sussurrare qualcuno, “sarebbe come stabilire che solo una legge proporzionale è costituzionale”, spiegava qualche giorno fa un altro professore che preferisce non entrare con nome e cognome nella contesa. Poco teorica e molto politica. “Temo che Ceccanti pecchi di ottimismo”, osserva Arturo Parisi. “La verità è che la Consulta può disporre di argomenti tecnici sufficienti che corrispondano alle attese del fronte restauratore proporzionalista”, dice al Foglio. “In un colpo solo può affondare definitivamente anche il mattarellum che, prevedendo collegi uninominali, salverebbe il principio dell’alternanza e la restituzione ai cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti”. Un ritorno al proporzionale, osservano i bipolaristi del Pd, sarebbe inoltre poco consono ai progetti di leadership di Matteo Renzi. Il che, naturalmente, contribuisce a saldare il fronte di chi spera nella Corte. E spinge i renziani alla Giachetti a promettere battaglia. Nel Pdl invece, per evitare di spaccare il partito tra falchi e colombe, urge “evitare le preferenze”. Berlusconi sembra avere in mente uno schema tutto proporzionale quando descrive il ritorno di Forza Italia “all’interno di una coalizione di centrodestra”. Secondo queste letture, insomma, la Consulta ha a disposizione molto più che un pungolo: una supplenza destinata a far discutere ma gradita ai partiti in difficoltà, preoccupati di sopravvivere e magari tentati, nonostante le reiterate invocazioni presidenzialiste, dalla possibilità di rinviare a dopo le elezioni la scelta del premier e di contare anche in futuro su riedizioni delle larghe intese.
© - F.Q. di Alessandra Sardoni, 4/7