Uno spettro s’aggira per l’Italia, la spending review

Il governo parla di revisione della spesa e già s’alzano barricate.

Parla De Ioanna, già braccio destro di Ciampi e TPS

Mancano soltanto un “comitato interministeriale per il controllo della spesa” da “riconvocare”, un “commissario straordinario” da “nominare”, ed ecco che potrà iniziare il processo di “spending review”, o revisione della spesa pubblica, anche per garantire coperture stabili alle decisioni prese dal governo (rinvio di Imu e Iva in primo luogo), ha annunciato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, nella sua intervista di sabato al Corriere della Sera. Ieri il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha detto che la prossima settimana sarà protagonista di un primo giro di consultazioni sul tema con governo e Parlamento, mentre dai sindacati sono già arrivati gli altolà per le possibili ricadute sui dipendenti pubblici. Qualche osservatore più scettico, a questo punto, potrebbe chiedersi: l’analisi chirurgica della spesa non l’aveva già avviata il governo Monti, succeduto tra l’altro a un esecutivo che già aveva tenuto stretti i cordoni della borsa? “Spending review” rischia di diventare sinonimo di “rinvio” dello snellimento dell’apparato pubblico? La risposta di Paolo De Ioanna, già capo di gabinetto di Carlo Azeglio Ciampi e di Tommaso Padoa-Schioppa al ministero del Tesoro, è un po’ diplomatica, certamente complessa e argomentata. E rinvia a un episodio raccontato nel suo ultimo libro appena dato alle stampe, “A nostre spese. Crescere di più tagliando meglio” (Castelvecchi): “Un giorno, nell’aprile del 1978 il ministro del Bilancio, Tommaso Morlino, uomo abile, colto e intelligente, spiegò al presidente del Senato, Amintore Fanfani, e al presidente della commissione Bilancio, il comunista Napoleone Colajanni, che una norma doveva essere stralciata. Più precisamente un articolo della riforma di bilancio che prevedeva l’istituzione di una commissione tecnica cui intestare il potere di riesaminare a fondo tutti i meccanismi della spesa pubblica, proponendo correttivi e riorganizzando, se necessario, la stessa rappresentazione in bilancio di entrate e spese. E’ soltanto un nodo tecnico, assicurava il ministro”. Ecco, lo stesso “nodo tecnico” che per decenni ha reso “pressoché impossibile” studiare e razionalizzare la voce “uscite” del bilancio statale.

Secondo De Ioanna, non c’è bisogno che l’avvio della “spending review” sia subordinato alla creazione di nuove strutture o alla nomina di nuovi commissari. “Piuttosto è una questione di metodo. Sarebbe sufficiente riprendere quello che la stessa Ocse indica come riferimento e cioè quanto stabilito dal ministro Tommaso Padoa-Schioppa nel 2006. Un metodo tripartito, fondato sull’Ufficio studi della Ragioneria di stato, una commissione ad hoc per la finanza pubblica che fungeva da collegamento tra Ragioneria e mondo esterno, e infine la divisione del bilancio in ‘missioni’ e ‘programmi’”. Fatto sta che oggi siamo ancora qui a discutere di come avviare il processo: “A quel tempo ci scontrammo con la resistenza politica dei ministeri ‘incisi’. Inoltre la stessa Ragioneria non viveva bene il presunto ‘commissariamento’ da parte di un organismo esterno. Il cambio di atmosfera economica e politica fece il resto”. Ora però siamo nel pieno di una crisi economica che è in parte figlia di un eccesso di indebitamento pubblico: “Io capisco il ministro Saccomanni, è nel mezzo di una forbice pazzesca. Non ci sono solo i partiti e le esigenze politiche di breve termine; in prospettiva ci sono anche le tagliole europee, con il rapido rientro del debito da attuare

secondo il Fiscal compact e il Two pack. La riduzione del debito è fattibile se la spesa viene frenata e la crescita riprende, ma se questa seconda condizione non si realizza…”.

Nel breve termine, De Ioanna propone che “un primo blocco di riduzioni di spesa limitate provenga da alcune misure selettive possibili, applicabili cioè in quei campi già studiati piuttosto a fondo”. Quali sono? Innanzitutto i sussidi statali alle imprese, identificati da Francesco Giavazzi l’anno scorso e che ammontano a circa 10 miliardi l’anno. Poi ci sono le agevolazioni fiscali già censite con il governo Berlusconi da Vieri Ceriani: 160 miliardi nel complesso, di cui almeno 70 giudicati “intoccabili” (quelle per i lavoratori dipendenti, pensionati e i familiari a carico). “Aggiungo che ogni anno, nelle bollette elettriche, sono contenuti 12 miliardi di sussidi per il fotovoltaico. Da tutto questo già qui si potrebbero recuperare 500-600 milioni in sei mesi e poi un miliardo in ragione d’anno. Certo non sono ancora i 20 miliardi che ci servirebbero”.

Intanto però in Francia il presidente socialista François Hollande pensa a tagli da 9 miliardi di euro per l’amministrazione pubblica nel 2014, mentre il governo conservatore di Londra ha varato l’ennesima manovra che riduce questa volta le uscite dello stato di 11,5 miliardi di sterline. “Lì c’è già una ‘macchina’ funzionante – insiste De Ioanna – da noi invece saremmo costretti a colpire nel mucchio, come si è fatto sui consumi intermedi con il governo Monti, penalizzando i più virtuosi e frenando di più il pil”. Ecco che torniamo dunque al medio-lungo termine: “Con una premessa necessaria – dice De Ioanna – La spending review funziona se non viene resuscitata di volta in volta soltanto per tamponare problemi contingenti di bilancio. Piuttosto si deve fondare su una precisa analisi delle cause della scarsa crescita, fenomeno che in Italia precede la crisi finanziaria. La nostra crisi è largamente causata proprio dalla debolezza strutturale delle nostre politiche pubbliche in campi cruciali come la ricerca, l’innovazione, la scuola, le infrastrutture e le reti. In questa prospettiva la spending dovrebbe agire in profondità come strumento che intensifica l’efficienza della produzione di servizi per i cittadini da parte della Pa e come tutela dei diritti e delle aspettative degli operatori economici e degli stessi cittadini che pagano le tasse”. Chiaro: se tra le ragioni della crisi c’è una spesa non soltanto elefantiaca, ma soprattutto inefficiente, è difficile pensare che un altro comitato ad hoc o un ennesimo commissario straordinario possano risolvere la situazione. “Per avviare un piano così ambizioso, le soluzioni calate dall’alto non funzionano. La politica dovrebbe lanciare apertamente una sfida all’amministrazione pubblica, ai dipendenti e ai sindacati. Un invito a rimettersi in gioco”. Scusi ma entro fine mese la Pa dovrà gestire i primi 7.800 esuberi frutto della revisione di spesa del governo Monti, e già sono in costruzione barricate: “Ai dipendenti bisogna proporre uno scambio. Tutti, dai vertici in giù, devono essere disponibili a radicali processi di ricollocazione sul territorio e di formazione intensa a nuovi compiti. L’infrastruttura pubblica può evitare licenziamenti solo se aderisce ai processi di trasformazione economico-sociale che sono in corso”. L’attuale governo di grande coalizione le pare all’altezza di una sfida come questa? “Il clima bipartisan in teoria potrebbe aiutare. Lo dimostra quanto avvenuto di recente in alcuni paesi europei. Mentre altri temi sono per definizione ad alta conflittualità, infatti, sulla spending review, intesa non come problema contabile ma come leva dello sviluppo, si potrebbe creare una convergenza a innovare”. A patto di non rifugiarsi dietro il “problema tecnico” che impedisce di snellire lo stato italiano da qualche decennio almeno.

© - FOGLIO di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp

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