Il mondo fino a ieri

Se n’è andato il timor di Dio. Come evitare che la nostra vita

sia ora dominata dall’inquisizione del politicamente corretto

Sentite questa, è il mondo di ieri tornato neppure una settimana fa: donna Luisa Ganci arriva in orario comodo al seggio elettorale al Verga, scuola media di Catania; sopraggiunge quasi con gli occhi chiusi allo spettacolo del suffragio concesso ahinoi a cani e porci; spoglia di ogni spirito democratico la signora accetta l’incombenza di segnare il simbolo e qualsivoglia procedura, perfino esibire il documento d’identità quando anche uno degli scrutatori – un dottorino pagato dal Consorzio agricolo per stare sempre in ozio ¬– si alza in piedi per profondersi in un titubante inchino riconoscendo a lei, sempre affascinante, quel rango, quell’eleganza e quell’ira trattenuta a dover stare lì in mezzo a quella impostura.

Sentite ché è proprio bella, questa: intorno a lei ci sono tutti gli astanti – signore e signori, cani di mannera e cani di bancata – che scrollano il capo, sbirciano di traverso, arretrando consapevoli del proprio puzzo di umanità connessa, cosmopolita e progressista. La signora, altera, li squadra da capo a piedi e loro lasciano che sia il presidente di seggio (un disoccupato) a spiegare la novità ulteriore alla signora: esprimere col voto la doppia preferenza obbligatoria per una donna e poi anche per un uomo. “E’ fatto apposta, è una norma della regione siciliana”, dice l’omarino da un gran testone mollo e sudato, “per garantire le quote secondo la legge delle pari opportunità”.

Sentitela tutta la storia che cose così, nel continente, non ve ne possono capitare. Donna Luisa, a questo punto, avuta la notizia dell’ulteriore novità funesta ripone gli occhiali da lettura nella propria sacca Céline, riconsegna schede e matita appena ricevuta e in un solo istante rovina in schifìo tutto il raccomandare di prudenza e pazienza speso neppure cinque minuti prima, sulle scale, da Concetta, la sua amica del cuore. Donna Luisa restituisce tutto – ed è un chiaro segno di disapprovazione – e però parla di un suo parlare senza scrupoli nell’aria intanfata dei ludi cartacei. E dice: “Sentite, io non voto né per i puppi e manco per i fimmini”. Laddove per “puppi” intendesi omosessuali e, per “fimmini”, le donne.

Ecco, il mondo fino a ieri tornato giusto alle ultime amministrative in una Sicilia che pure è moderna assai col suo presidente – il simpatico quanto spietato politicante Rosario Crocetta che della sua omosessualità ha fatto bandiera – e anche antica se poi tutta la forza rigenerante della società, a Valguarnera Caropepe come nel mondo, attinge dalla tradizione il proprio nerbo. Certo, la tradizione – o “Il mondo fino a ieri. Che cosa possiamo imparare dalle società tradizionali”, per dirla con il saggio di Jared Diamond, edito da Einaudi – è fatta forse di scheggine di pietra infernale (tale è donna Luisa) e però è sana, solida e vivificante.

Sembra niente l’apologo di donna Luisa, invece è tutto.

Il mondo fino a ieri, fuor di nostalgia e romanticheria, torna per tramite di carne e non di metempsicosi poiché solo l’antico retaggio, il sangue e l’impronta ruggente sanno garantire la varietà dell’aggregazione sociale altrimenti livellata dal conformismo statuale e giungere in soccorso perfino dell’etica laica e modernista quando questa non ha più strumenti per confrontarsi con la verità stessa della vita che non è fatta di desideri da trasformare in diritti.

Il mondo fino a ieri torna e sfugge a ogni ambiguità senza sprecarsi in un vano rivendicare autenticità all’esistenza, come nel racconto del rametto misterioso fatto da Diamond nel suo libro, quando in una radura, in Guinea, a più di quaranta chilometri da percorrere solo a piedi, con Gumini, la sua guida, trovano un solo rametto di sessanta centimetri dalle foglie non troppo avvizzite conficcato per terra, segno inequivocabile di presenza umana in un territorio deserto. A Diamond sembra niente di speciale ma a Gumini, la guida guineiana sembra tutto: “Come era arrivato lì, chi l’aveva conficcato per terra?”. Ecco, la paranoia costruttiva.

Un rametto leggero. Impossibile da trovare senza qualcuno che lo infilasse apposta per penetrare così tanto. Giusto un segnale. Ma senza una sola traccia di attività umana. Non il solco degli elicotteri, non degli pneumatici, non gli scarponi, nulla che possa risolvere l’enigma di un qualcosa capitato nello spazio di un terreno vuoto.

Il mondo fino a ieri torna e l’uomo che custodisce dentro se stesso la forza di ieri affronta i segnali con la “paranoia costruttiva”. Diamond annota: “Di colpo rabbrividii e sentii rizzarmi i peli sul coppino. Pensai al momento in cui Robinson Crusoe, naufrago su un’isola che immagina disabitata, vede impressa nel terreno l’orma di un piede umano”. Gumini lo impegna per oltre un’ora di paranoia e così costruisce la sopravvivenza. Una reazione perfettamente appropriata: “Meglio darsi pensiero di mille ramoscelli caduti in una posizione apparentemente non casuale, piuttosto che ignorare fatalmente l’unico conficcato per terra da qualche strano esponente della razza umana”.

La reazione è sempre appropriata e siccome se n’è pur andato via dal mondo il timor di Dio, blasone di ieri, l’età, questa nostra età – secondo lezione di Charles Margrave Taylor – è secolare. Come in un istante, infatti, tutta la religione s’è dissolta. In occidente – dove è tabù perfino scherzare sulle minoranze, sulle stravaganze e su tutti i codici folcloristici dei diritti della civilizzazione secolarizzante – l’unico obbligo è dato dall’inquisizione politicamente corretta. Si va persino in galera, in tema di correttezza ideologica a seguito dell’aggiornamento dei codici penali ma quasi non c’è motivo di interrogarsi su ciò che abbia voluto dire aver creduto e, oggi, non credere più perché lo spirito di ieri, se non proprio per le nostre strade, comunque s’aggira nelle nostre vene.

Sono gli ultimi giorni del timor di Dio, le ultime ore perfino perché i topi hanno fatto alloggio nel forno che non dà più pane e manco il gatto trova la forza di dare loro la caccia. Il micio è pasciuto, mangia croccanti, non i resti e sono gli ultimi momenti di Padre, Figlio e Spirito Santo perché per strada, sotto il sole di Marsala, un bambino gioca a palla con una forma di pane. Segna un gol contro una saracinesca chiusa, poi un altro e siccome quel tozzo non rimbalza lo trascina a calci da una parte all’altra della strada facendo zig zag sotto lo sguardo divertito di papà e mamma che non dicono niente, anzi, il babbo tenta un cross e solo un passante – un immigrato, magari è un clandestino – fa no e no dondolando la testa. Gli si storcono le budella al magrebino e proprio no, non ne può più di vedere quella scena, il pane è il profumo della mensa, la gioia del focolare e dunque prima borbotta, dopo urla e quindi sbotta. Sotto lo sguardo dei genitori molla uno schiaffo al bambino.

Ecco, paranoia de-costruita in caserma. Finisce che si ritrovano dai carabinieri, il maresciallo l’interroga, fa domande circostanziate e la circostanza è tutta in quella forma di pane forse pietosamente raccolto, adesso, dai topi. Il maresciallo si fa raccontare più volte il tutto accaduto, il bimbo sta seduto sulle gambe di mamma, non piange più ma ha versato lacrime e strilli, ha gli occhi rossi eppure, dopo il primo bicchiere d’acqua, il sottufficiale non ha detto al brigadiere di provvedere con altra acqua o caramelle e, infatti, con tanto di faccia sbalordita il graduato, comandante di stazione, si fa spiegare i fatti per poi alzarsi e stringere la mano allo schiaffeggiatore perché forse l’età è secolare ma il sangue è sangue, tautologia di carne e terra.

Dio non è stato neanche assassinato e – sempre secondo il canadese Taylor, filosofo comunitarista – è solo un’opzione fra tante, tanto è vero che tutte le vecchie forme di vita religiosa si sono dissolte nella serie di nuove partenze e di nuove briciole di identità fatte di paradossi e non proprio in un nuova età di cruda identità secolare. Il mondo di ieri, in forma di “paranoia costruttiva”, sollecita per paradossi, contraddizioni e incertezze questo nostro tempo fatto di un eterno presente.

Il mondo è sempre stato di ieri. Diamond – che è un docente californiano, padrone delle vette di vendita con questo suo libro – parte da un’idea urticante e cioè che l’umanità di oggi si porta addosso al proprio organismo, al proprio corpo e alla propria fisiologia un’assenza, quelle condizioni di vita tradizionali che più di quelle della modernità ci sono utili per apparecchiarci all’esistenza.

Pratiche di certo inaccettabili, come quelle della divina donna Luisa al seggio, ma sono pur sempre schegge di pietre incendiarie, come quelle di donna Luisa, necessarie al fuoco rischiarante della paranoia. Tutto ciò che è scomparso dilaga dentro l’uomo di oggi e decreta quei rovesciamenti che sono, per così dire, la regola degna di essere seguita quando la verità della vita esige fedeltà alla terra e sopravvivenza. “La grande maggioranza dei miei lettori”, scrive Diamond, “come peraltro il novanta per cento di europei, americani, giapponesi, morirà di una di queste malattie non trasmissibili, mentre la maggioranza degli abitanti dei paesi a basso reddito muore di patologie trasmissibili”. La famosa asimmetria tra il rischio e la nostra percezione. Dopo di che, il mito della legge neutrale dell’oggi, contro il calore inaccettabile di ieri. Diamond nel suo libro racconta la storia di Ellie Nesler, la donna californiana processata per avere ucciso l’uomo accusato di abusi sessuali nei confronti del figlio, “qualunque genitore può comprendere la rabbia di Ellie, ma il fondamento della giustizia statale è che i governi crollerebbero se tutti i cittadini si facessero giustizia da soli”.

La sopravvivenza, dunque. L’antico non sbaglia mai sul modo di accostarsi agli anziani, l’antico educa i figli nel momento in cui li alleva, l’antico quando sente un’afta scavare l’incavo del labbro mette il sale sulla ferita, cauterizza senza farsi piagare da una pomata che il linguaggio accorto definisce crema, l’antico sbuccia i fichidindia a mani nude, l’antico trova sempre la giugulare al porco e scanna, l’antico magari sbaglia e negli sponsali ordinari, quando al banchetto di nozze portano in tavola le scodelle d’acqua con il limone per detergersi le dita unte di pesce – ecco – l’antico non è civilizzato e se la beve quell’acqua scambiandola per chissà quale bibita ma l’antico del mondo di ieri, tornando, gode in salute e sorriso perché mette zenzero e miele. E poi l’amore.

La sopravvivenza, quindi, e la felicità. I neonati, oggi, vanno in carrozzina. E così che s’interrompe il contatto con la madre, la matrice accudente e pure il senso di marcia posiziona il bambino in orizzontale anziché in verticale, innanzi al sole e alla mamma ma il mondo di ieri ci sopravvive dentro. E’ come il bacio della buonanotte quel mondo. E’ il lago di caldo che prende a scivolare dalle tempie per poi gocciare in tutto il corpo. Torna come ogni notte faceva ritorno quel bacio, quando da bambini si fa sempre finta di dormire perché nel sonno – dove vigila un angelo, un libro o una scimitarra – ogni infante ha sempre più bisogno del bacio. Quello cominciato ieri e che oggi, si rinnova.

Il mondo di ieri è come il silenzio che viene incontro quando si entra in una casa svuotata ormai e fatta ricordo dal destino quando il destino, appunto, porta altrove, in un viaggio che dalla Guinea finisca poi in California magari, come per Diamond, o come nel dover andare via di tutti perché ogni ieri scivola nella botola della matematica e i conti tornano solo con la moltiplicazione degli oggi. E sono ingressi impegnativi quelli nelle case fatte vuote. Ci sono porte da forzare e quel ritornare dove c’era stata, la vita, non è mai un giro a ritroso nel tempo. Piuttosto è una sovrapposizione dei piani – quello di ieri e di oggi – perché i fantasmi dei mobili innevati dalla polvere di anni e anni di addio, travolgono con un frastuono di voci. Fossero pure solo foglie colte nello scricchiolio dei nostri passi.

Sono rumori scoppiettanti di energia al cui confronto, noi – esploratori dell’oggi – impallidiamo senza aver pietà del disinganno, anzi, riconoscendoci in uno specchio per via delle spallucce ingobbite e degli occhiali sporchi di abitudine. L’oggi ci abitua e non sappiamo fare il salto – il bungee jumping, con le caviglie salde alle corde del mondo – verso i più oscuri tubi del passato senza ritornarne turbati, edificati e pratici almeno di un insegnamento: in principio tutti vivevamo in una condizione di selvaggia e rapace provvisorietà, attorno a un albero. Nessuno però può pensare di piantare la tenda ai piedi di un albero morto.

Il mondo di ieri è l’archetipo e siccome, come dice Hölderlin, l’uomo quando sogna è un dio, quando pensa è un mendicante, quando qualcosa resta appiccicato negli occhi, allora, è come la pasta madre che rinfresca il ceppo originario. Ho visto preparare il ferro da stiro con la carbonella, ho solo cinquant’anni ma m’è rimasto tutto dell’età che fu da sembrare più che un secolo, un millennio tanto il mondo di ieri è tutto “una vita fa” di ceci verdi chiusi nei loro baccelli, attaccati ancora alle loro piantine e legate in cespi ai muli che facevano ritorno dalle campagne, al tramonto.

Ho fatto anch’io i miei agguati alle bestie per strappare parte di questi carichi. Lo facevo con gli altri ragazzi che lavorano nella bottega del barbiere, don Antonino Russo. Pure io ho imparato tante di quelle cose la più bella delle quali – oltre lo spazzolare le spalle e scopare i peli per terra – era montare la schiuma da barba, tanta da far sprigionare l’odore di mandorla, ovvero il presagio del cianuro e dunque adesso scrivo di corsa come se fossi in sala operatoria col dubbio serio di cavarmela, concludo in fretta come a essere davanti al muro sugoso di una cella, con l’incubo di non uscirne più, come tra le assi di una cassa foderata di zinco dentro la quale diventare liquame, quindi gas e poi esplodere e quindi scrivo in fretta acchiappando gli ultimi istanti di vita che, si sa, sono solo i ricordi.

Ma il mondo di ieri non è ricordo, è il lievito. Sano, solido e vivificante.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Pietrangelo Buttafuoco

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