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patto che non paga pegno per Squinzi
Una fase economica in cui vengono al pettine molti nodi irrisolti, con effetti assai pesanti sul piano sociale; un blocco dei processi decisionali della politica, determinato non solo dall’esito elettorale particolarmente complesso. Fin troppo facile per alcuni osservatori, e qualche protagonista, mettere in contrapposizione le urgenze economiche e la lentezza paralizzante dei politici. Ma un po’ fuorviante.
Il patto tra i produttori e i sindacati, evocato nei giorni scorsi dal presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, sarebbe così la risposta “sine macula” delle forze sociali alla paralisi politica. In questa rappresentazione, però, prevalgono gli aspetti superficiali e le affermazioni generiche, che probabilmente non resisterebbero a un esame realistico di contenuti e proposte.
Per ora il patto consiste semplicemente nella richiesta di un rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, che ha esaurito o sta esaurendo i fondi a copertura.
Chiedere congiuntamente denaro allo stato per finanziare un ammortizzatore sociale (introdotto da Maurizio Sacconi in un provvedimento che fu criticato perché estraneo alla concertazione, ma che oggi tutti considerano provvidenziale) non sembra superare l’orizzonte della rivendicazione assistenzialistica, per quanto sacrosanta in frangenti difficili (ieri anche il ministro Elsa Fornero ha parlato allarmata del finanziamento della cassa).
Ma alle parti sociali sarebbe ragionevole chiedere anche un impegno straordinario per contribuire a superare i blocchi che paralizzano da decenni la crescita della produttività e della competitività. E’ probabilmente a questo che pensava Mario Monti quando ha ricordato, domenica sera davanti alla scelta platea televisiva di Fabio Fazio, che imprese e sindacati non sono esenti da responsabilità: “Se l’Italia non cresce ciò è dovuto a lacune della politica, ma moltissimo anche a sindacati e imprese”, che “devono cambiare, non possono chiamarsi fuori”. Soprattutto, ha aggiunto dalla corresponsabilità di scelte che hanno creato la voragine del debito pubblico.
In questa affermazione, proprio perché viene da una persona che ha rivestito funzioni politiche, prima in Europa e ora in patria, in conseguenza della sua competenza,è contenuto un elemento “pedagogico”, un insegnamento che va contro la corrente del senso comune (che com’è noto è spesso il contrario del buon senso) e che in buona sostanza nega la presunta superiorità di una società civile “virtuosa” rispetto a una classe politica “impresentabile”. Non è una lezione estemporanea ,quella del professor Monti, che infatti entrò nel dibattito politico proprio criticando gli effetti perversi e inflazionistici del “patto industriale” stipulato tra la Confindustria di Gianni Agnelli e il sindacato guidato da Luciano Lama nel 1975. Quello era un vero patto industriale, stretto fra rappresentanti autorevoli dell’impresa e del lavoro, ma ha prodotto effetti disastrosi sull’economia nazionale, che di fatto da allora non è mai riuscita a recuperare competitività ed equilibrio territoriale. Monti fu uno dei pochi ad avere il coraggio di denunciare il pericolo e di indicare la terapia (desensibilizzare la scala mobile dall’inflazione importata), e solo molti anni dopo la politica e le rappresentanze sociali (esclusa la Cgil) apportarono qualche correzione con il patto di San Valentino.
Naturalmente è dubbio che la pedagogia di Monti questa volta ottenga risultati più rapidamente di quanto accadde quasi quarant’anni fa. In ogni caso si tratta di un’eredità, quella del premier uscente, destinata a lasciare il segno assai più delle frenetiche campagne confindustriali sul “tempo scaduto”, che poi si immiseriscono nella richiesta di “fare qualcosa”. Naturalmente è vero che la situazione è grave e che è urgente cercare le strade per salvaguardare le residue possibilità di agganciare la tendenza alla crescita dell’economia internazionale. E’ altrettanto ovvio che a questa sfida debbono partecipare, oltre ai responsabili politici, le imprese e i lavoratori.
A loro però spetta, in primo luogo di risolvere i problemi sui quali hanno specifica potestà: il sistema contrattuale, la flessibilità del lavoro, le garanzie di libertà
per le imprese e per i lavoratori. Chi negli ultimi anni ha tentato di innovare in questo campo ha dovuto subire l’ostracismo e in qualche caso l’aggressione dei nostalgici della concertazione paralizzante. Se ora questi conservatori si presentano come promotori di un patto industriale è giusto esaminare con attenzione, e persino un po’ di diffidenza, le loro reali intenzioni.
Le verità scomode sui c.d. esodati e la necessaria riforma della riforma
Sergio Soave, 16/4