Dal frate spagnolo al vescovo della Pampa,
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le scelte a sorpresa di Francesco
Non se l’aspettava nessuno, oltre Tevere, la nomina dello spagnolo José Rodríguez Carballo, dal 2003 ministro generale dell’Ordine dei frati minori, alla carica di segretario della congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. L’incarico era vacante dallo scorso ottobre, quando Benedetto XVI decise il trasferimento a Indianapolis, dopo solo due anni, del redentorista Joseph William Tobin. Determinanti sono state le incomprensioni con i vertici della congregazione per la Dottrina della fede in merito alla vicenda delle suore americane riunite nella Leadership Conference of Women Religious (Lcwr), accusate dalle alte gerarchie romane di essere “femministe con la tendenza ad andare oltre Gesù e la chiesa”.
In Vaticano si dice che l’istruttoria per la sostituzione di Tobin fosse già in stato avanzato, e che il nome su cui si era orientato Joseph Ratzinger fosse quello di un domenicano, sempre americano. Francesco, invece, ha scelto un’altra strada. E lo ha fatto dopo aver ricevuto in udienza privata lo scorso 25 marzo il prefetto della Congregazione, il brasiliano João Braz de Aviz, e il prefetto del dicastero dei vescovi, Marc Ouellet. Ad avere un peso determinante sulla prima nomina curiale di Bergoglio è stata anche l’amicizia tra il Papa e Carballo: i due si conoscono da anni, al punto che l’ex ministro generale francescano è stato uno dei due padri generali religiosi – l’altro era il preposito gesuita Adolfo Nicolas – a concelebrare con il Pontefice la messa di inizio del ministero petrino, lo scorso 19 marzo, festa di San Giuseppe.
Chi lo conosce bene, fin dai tempi in cui Jorge Mario Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires, assicura che lui si fida del suo istinto più che dei rapporti e dossier che gli uffici della curia gli mettono sul tavolo. Francesco, da buon gesuita, ascolta i suoi interlocutori e prende appunti. Poi riflette, da solo. E in completa autonomia fa le sue scelte. E’ quanto accaduto anche per la nomina del nuovo arcivescovo di Buenos Aires, il suo successore. Bergoglio, che il prossimo dicembre compirà 77 anni, già da tempo aveva presentato a Roma le dimissioni, avendo superato il settantacinquesimo anno d’età. Benedetto XVI non le aveva ancora accettate, ma nel frattempo era partito il lento iter che avrebbe portato la Congregazione guidata dal cardinale Ouellet a proporre una terna di nomi al Papa, comunque libero di scegliere al di fuori dell’elenco di preselezionati dal dicastero dei vescovi. Il favorito era Jorge Lozano, ausiliare di Bergoglio a Buenos Aires fino al 2005 e da allora vescovo di Gualeguaychú, diocesi al confine con l’Uruguay. Più defilati risultavano essere l’arcivescovo di La Plata, Héctor Rubén Aguer, vicino al decano del collegio cardinalizio Angelo Sodano, e il teologo Alfredo Horacio Zecca, dal 1999 al 2009 rettore dell’Università cattolica argentina e successivamente arcivescovo della grande diocesi di Tucumán, nel nord del paese. Ma Francesco ha preferito scegliere il fidato vescovo di Santa Rosa, Mario Aurelio Poli, per qualche anno suo ausiliare nella capitale sudamericana.
Una scelta a sorpresa e rapida, avvenuta solo due settimane dopo la sua elezione a Pontefice – Karol Wojtyla attese più di due mesi prima di nominare Franciszek Macharski arcivescovo di Cracovia, mentre Joseph Ratzinger ufficializzò la promozione di William J. Levada alla guida dell’ex Sant’Uffizio ventiquattro giorni dopo essere diventato Papa.
Intanto, in attesa di conoscere il nome del nuovo segretario di stato in sostituzione di Tarcisio Bertone (in prima fila ci sono tre diplomatici, il presidente del Governatorato Giuseppe Bertello, il prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli Fernando Filoni e il nunzio in Venezuela Pietro Parolin), Francesco si prepara a concedere ai vescovi italiani la possibilità di eleggere sia il presidente sia il segretario della loro conferenza episcopale, dando così seguito alla votazione consultiva del maggio 1983, con cui l’episcopato italiano approvava a larga maggioranza (145 sì e 36 no) la proposta di rendere elettive le due cariche anche in Italia e non più soggette alla nomina diretta papale.
di Matteo Matzuzzi – @matteomatzuzzi