Renzi fuori dal Pd. Adesso
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La storia della nomina a grande elettore negata non è solo l’ultima goccia.
Il Pd non si metterà nelle mani di Renzi neppure se vedrà spalancarsi l’ombra di un’altra sconfitta. Ma un modo per uscirne c’è
Al Direttore -
Dunque gli hanno preferito Alberto Monaci, presidente del Consiglio regionale della Toscana, ascoltato a più riprese dai pm fiorentini come persona informata dei fatti riguardanti l’affaire Monte dei Paschi di Siena. “Scelgono uno che ha fatto quello che ha fatto. Avessero almeno deciso per una persona autorevole”, ha commentato Renzi alla notizia che non sarà uno dei grandi elettori del prossimo presidente della Repubblica perché il Pd, il suo partito, alla prima prova utile dopo le primarie lo ha ovviamente fatto fuori. Dico ovviamente in riferimento proprio alla persona di Renzi: il suo nome non uscirà mai sulla ruota del Pd come candidato premier, se ne faccia una ragione. Il Pd toscano è il primo a non sopportarlo, per quanto in Toscana il sindaco di Firenze abbia stravinto le primarie su Bersani. E nel Pd toscano il primo a non sopportarlo è Enrico Rossi, il presidente della giunta regionale. Che si era espresso per Renzi, ma subordinando la sua scelta a favore del sindaco a tre condizioni.
Secondo Rossi: (a) Renzi avrebbe dovuto dichiarare di non gradire i voti del centrodestra in consiglio regionale (b) il gruppo Pd di quel consiglio avrebbe dovuto essere unanime nell’appoggiarlo e (c) il suo competitor, Alberto Monaci, avrebbe dovuto essere d’accordo a cedergli il posto (che, per prassi, va un consigliere regionale). Forte, il governatore. Che incarna alla perfezione il livello di chiusura di un Pd toscano che si tiene in piedi grazie a una occupazione del potere totale e spietata, portata avanti senza guardare in faccia nessuno, nulla concedere agli altri e mi vien da dire neppure a se stesso, visto che in quel partito, secondo il principio di Peter, ciascuno è già salito al suo massimo livello di incompetenza. Così, io non credo affatto che Renzi la spunterà nella sua rincorsa, non tanto perché sia un santo tra i demoni ma perché la sua stessa “pretesa politica” è avvertita come sconvolgente di tutti gli equilibri politici e istituzionali in essere in quel partito. Un partito che non si metterà nelle sue mani neppure se vedrà spalancarsi davanti a sé l’ombra di una nuova sconfitta. Il Pd dovrà infatti toccare il livello ultimo possibile, in relazione alla sua sopravvivenza, di inconsistenza e marginalità politico-elettorale. Solo allora, com’è per le aziende fallite, acconsentirà di passare nelle mani di un curatore fallimentare. Solo allora potrà rimettersi a Renzi. Ma a quel punto sarà tardi anche per Renzi. Per cui non ha scelta, il nostro. Non gli si chiede di abbandonare la sinistra, gli si chiede di abbandonare il Pd. E’ una cosa piuttosto diversa. E, soprattutto, legittima, anzi, indispensabile. Per la sinistra, dico, non soltanto per lui.
© - FOGLIO QUOTIDIANO di Roberto Volpi