Quirinale, governo, inciuci

La Costituzione più bella del mondo, iperbole scema di un comico ripetuta da

anime belle in cerca di gratificazione, stabilisce che il presidente di questa Repubblica sia eletto a mezzo di un inciucio. Letteralmente. Inciucio vuol dire chiacchiera sottopelle, spazio negoziale parallelo, mal definito, opaco. Il Papa è eletto nel teorico segreto il più assoluto, ma dopo nove giorni di riunioni, le Congregazioni, nel corso delle quali il corpo elettorale discute dei problemi della chiesa, ciascuno ha il diritto di dire la sua e di esporsi ed esporre le proprie idee, la personale identità. Poi, ma solo poi, c’è la liturgia e il riferimento allo Spirito Santo. Altri presidenti, cancellieri, numeri uno di Downing Street, primi ministri ispanici eccetera, tutti, dico tutti, vengono eletti in base a una selezione politica aperta (nel caso americano dura due anni e parte con le primarie). Invece il nostro inquilino del Quirinale, ciò che non toglie una buona possibile riuscita della lotteria o dell’inciucio, appunto, è eletto dalle Camere riunite come “seggio elettorale”, nessuno può parlare, per regolamento gli elettori devono stare muti, bisogna votare un nome, il nome può essere nascosto, misterioso, appena accennato, probabile ma incerto, di bandiera, può nascondere altri nomi, compromessi, convergenze o invece agguati di parte, forzature, rivalità personali, battaglie culturali e di genere, ma la regola è che non se ne discute mai apertamente, non c’è una sede, per l’appunto politica e civile, e magari costituzionale, per presentare di fronte alla nazione, nei suoi veri termini politici, la scelta della persona che per ben sette anni (in Francia hanno ridotto il settennato a cinque anni) avrà quell’immenso e sfuggente e non circoscritto potere che sappiamo. Invece di sferruzzare sulle commissioni di Camera e Senato e di dire scempiaggini sul Parlamento che lavora in assenza di governo, il dottor Gribbels dovrebbe far porre ad alta voce dai suoi rappresentanti, in Aula, questa semplice questione: sulla base di che cosa, di quali candidature e programmi chiaramente enunciati, ci convocate qui a nome della Costituzione e ci imponete di votare dei nomi negoziati nel segreto, volete che indossiamo anche i grembiulini e portiamo i triangoli e le cazzuole? Sarebbe uno spettacolo mica male, la contestazione di questo ferrovecchio teologico che è il modo di elezione del capo dello stato della vecchia e molto perfettibile Costituzione che ci siamo dati sessantacinque anni fa.

Berlusconi dice che vuole discutere del presidente da eleggere, sostiene che da lungo tempo lo si è scelto in un’area di centrosinistra, che si dovrebbe cambiare registro, ma non è che si impunti sullo schieramento per così dire certificato; sostiene che comunque occorre un presidente che garantisca tutti. Berlusconi accenna anche alla complementarità presidente-governo, nel senso che vuole il varo di una politica di grande coalizione, in dipendenza dal risultato elettorale e dalla necessità di battersi in Europa perché una nuova fase espansiva consenta ad alcuni paesi, principalmente l’Italia, di uscire da una grave stretta di austerità e di pressione fiscale che impedisce oggi, e può strategicamente rendere impossibile nei prossimi anni, ogni prospettiva di crescita economica e di incremento della nostra base occupazionale, di reddito e di consumo. E questo è un modo per arginare l’inciucio costituzionale travestito da “metodo rispettabile” ed esclusione di ogni “scambio” (è l’opinione combattente e influente a sinistra di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, ribadita ieri nella riunione di redazione, in polemica con noi).

Lo stesso vale per il governo. I governi monocolori democristiani e presieduti da Andreotti (1976-1979), esecutivi detti della “non-sfiducia” nati con il voto determinante del Pci e della Dc, erano il frutto nobile di un grande, obbligato e in parte tenebroso inciucio reso necessario dalla Guerra fredda, dalla conventio ad excludendum che riguardava i comunisti alleati organici dell’Unione sovietica. Andreotti regnava e variamente disponeva; Berlinguer e Moro definivano la strategia, e proponevano; e comandavano, vedendosi ogni giorno in una sorta di direttorio ristretto (tipo Verdini-Sposetti, detto con simpatica leggerezza), Fernando Di Giulio, meraviglioso parlamentare e dirigente comunista di Maremma, e Franco Evangelisti, straordinario campione della romanità andreottiana (“A Fra’, che te serve?”, era la domanda-offerta di Gaetano Caltagirone il Grande rivolta a lui). Napolitano ha detto giustamente che ci volle coraggio e che era nobile l’impresa di reagire a crisi economica diffusa, a terrorismo e crollo delle fondamenta della democrazia repubblicana con un patto di unità nazionale, ma è risibile che i bersaniani oggi indichino come loro modello il monocolore Andreotti di quei tre anni, che peraltro culminarono nel rapimento e nei postumi dolorosi del delitto Moro, nell’orgia demagogico-giustizialista della P2, e nella svolta demagogica e moralistica di Berlinguer. Grottesco poi il risvolto secondo cui Berlusconi, appoggiando dall’esterno con la non-sfiducia un governo Bersani, avrebbe attribuita in commedia la parte di Berlinguer.

Siamo seri. Quando Berlusconi dice senza particolare jattanza, e lo ripeterà sabato a Bari dopo averlo fatto presente con mitezza a un Bersani molto metaforico, che ci vuole una grande coalizione di stile europeo per rimettere le cose a posto e dare soddisfazione all’ansia di salvezza che percorre il paese smarrito; e quando aggiunge che questo è un modo semplice di ragionare, che quella storia dell’appoggio esterno a un governo Bersani in cambio di una benevolente commissione per le riforme istituzionali, sì, va bene, avrà anche una sua giustificazione formale, ma è contorta, non è tale da consentire uno scatto di reni all’Italia, e sa di inciucio, quella sì, bè, quando dice così Berlusconi non ha tutti i torti. Forse ha anche ragione. Vuole fare anche i suoi interessi di parte? Succede, in politica.

Presentano Napolitano come inciucista e Bersani come custode del valore costituzionale dell’alternanza. Vero il contrario. In questo momento, con tutto il rispetto, Bersani e Mauro non smacchiano giaguari, combinano inciuci.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata