la rupture di Marchionne sta funzionando
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S’avanza l’idea che la rupture di Marchionne stia funzionando
Il segno “più” forse non è un fuoco di paglia. Quel che c’è di buono nello choc americano. F.to Ernest Ferrari
Da “Marchionne l’americano” a “Marchionne il troppo americano”, il passo per l’amministratore delegato di Fiat è stato breve. Perlomeno nel dibattito pubblico e mediatico italiano. Ma se ora la mutazione impressa al Lingotto dall’alieno italo-canadese-americano stesse in realtà dando i suoi frutti? Nel pieno della crisi europea, sempre più in controtendenza rispetto alla ripresa americana (ieri il tasso di disoccupazione oltreoceano è sceso a 7,6 per cento, contro il 12 per cento dell’area euro), qualche analista s’interroga, giungendo a conclusioni nient’affatto scontate. Secondo Ernest Ferrari, specialista del settore automotive e autore di una newsletter seguita da operatori e concessionari in tutta Italia, i risultati positivi si vedono. Non soltanto negli Stati Uniti, dove il mercato automotive è nel complesso in recupero, e dove Chrysler spicca avendo venduto in marzo 172 mila auto, il 5 per cento in più rispetto allo scorso anno, facendo segnare il trentaseiesimo mese consecutivo di aumenti (meglio del record precedente, quello dei 35 mesi di aumenti tra 1992 e 1994). Ferrari offre una lettura controcorrente anche dei dati delle immatricolazioni italiane del marzo 2013: “Tutti hanno spiegato il calo contenuto del mercato, cioè meno 5 per cento dall’anno prima rispetto ai soliti numeri a due cifre, come un’illusione statistica, dovuta al fatto che il marzo 2012 fu particolarmente catastrofico a causa dello sciopero delle bisarche (i grandi autotreni adibiti al trasporto auto, ndr). Per me questa lettura è falsa – dice l’analista – In realtà Fiat ottiene un buon risultato, più 5,3 per cento rispetto al marzo 2012, soprattutto grazie a una nuova credibilità della marca e del gruppo, e grazie alla nuova politica di gamma”. Ferrari, che pure sul Foglio fu critico del piano “Fabbrica Italia” varato nell’aprile 2010 e poi giudicato “non più attuale” da Marchionne, nota infatti che “il risultato deficitario del marzo 2012 rispetto al marzo 2011 (meno 26,7 per cento) non differiva di molto dai risultati di giugno (meno 24,4 per cento), settembre (meno 25,7) e dicembre (meno 22,5). Insomma, con o senza le bisarche ad attraversare la penisola per rifornire i concessionari, la musica nel 2012 non cambiava”. Oggi invece la quota di mercato in Italia di Fiat Group Automobiles è cresciuta al 28,75 per cento sal 25,96 per cento di un anno fa. “E’ la prima volta da molto tempo che il mercato reagisce agli stimoli della Casa”. Ma se il dato attuale non è frutto di un’illusione statistica, allora a cosa è dovuto?
“Il Lingotto ha effettuato un giro di boa, dovuto in parte ai soliti mezzi promozionali, ma anche e soprattutto grazie a una nuova credibilità della marca e del gruppo, oltre che alla nuova politica di gamma – dice Ferrari – Basta guardare la nuova versione ‘maggiorata’ della 500, la 500L, per capire che Marchionne sta quantomeno cominciando a vincere. Sta facendo quello che si doveva fare, cioè non semplicemente sfornare nuovi modelli – come in molti genericamente chiedevano – ma ridefinendo la gamma Fiat verso l’alto”. I nuovi modelli che verranno dopo la 500L, la commercializzazione di Suv prodotti assieme a Chrysler, così come la rivalutazione del marchio Maserati, secondo l’analista, vanno tutti in questa direzione. Che poi è quella di “uscire dal ghetto delle vetture piccole”, una delle principali sfide che la Casa di Torino doveva vincere per superare le sue “debolezze tradizionali”.
Prima della rupture di fine 2012, quando Marchionne disse di voler puntare nel futuro sull’“alta gamma”, piuttosto che sugli “alti volumi”, sono poi arrivate altre cesure fondamentali. Nel 2009 Marchionne spostò a metà dell’Oceano atlantico il baricentro dell’industria manifatturiera italiana per eccellenza, Fiat, con la benedizione (e gli aiuti pubblici) di Barack Obama. “L’acquisizione della Chrysler ha eliminato in un colpo solo l’italocentricità del gruppo Fiat e la concentrazione della stessa su un solo marchio, Fiat, e sulle sole macchine piccole. Il gruppo ora è tra i più internazionalizzati che ci siano e sta completando l’opera con lo sbarco in Cina”. Secondo Ferrari rimane l’incognita di una “gestione ancora non efficace dei tre marchi Fiat, Lancia e Alfa Romeo i passi avanti sono ancora pochi”. Per il resto, però, “la credibilità di Marchionne e del gruppo escono rafforzate da questa fase, tutt’altro che tranquilla”. In Italia, nel 2010, l’ad di Fiat ha superato il contratto nazionale tradizionale, sfidando i sindacati che si opponevano con i referendum in fabbrica, tutti vinti. Nel 2011, poi, ha assestato il colpo finale al modello concertativo del nostro paese, uscendo dalla Confindustria che un secolo prima aveva contribuito a fondare. “Ora deve evitare che il sistema italiano torni a imporgli lacci e lacciuoli, nelle sue fabbriche o nei suoi piani di delocalizzazione in altri paesi europei”. Ferrari lo dice pur conoscendo da vicino “le estreme difficoltà vissute dai concessionari”. In conclusione, “Marchionne chiede molto al paese, al governo e al sindacato. Ma se l’Italia vuole continuare a produrre qui un numero ragionevolmente alto di automobili, non si vede chi potrebbe succedergli o chi potrebbe chiedere di meno”.
di Marco Valerio Lo Prete – @marcovaleriolp