La generazione ex Pci, abbonata alla sconfitta
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anche quando vince. Oggi è crollato Pier Luigi, ieri D’Alema, Veltroni e Occhetto:
la storia si ripete. Il filo rosso che lega vent’anni di fallimenti? Il vizio di eliminare chi innova
Fabrizio Rondolino - Dom, 31/03/2013 - 17:53
Non ha avuto neppure l’onore delle armi,il povero Bersani: neppure la formalità di un nuovo passaggio al Quirinale, di un comunicato stampa, di una telecamera accesa per raccoglierne le parole di circostanza.
Il suo «preincarico », spiegavano ieri alla presidenza della Repubblica, si è semplicemente esaurito con l’esaurirsi dell’«esplorazione». Come nebbia al sole, come un sogno alla fine della notte. Lui, Bersani, è letteralmente fuggito insieme al resto del Tortello magico, l’ inner circle che comprende il capo della segreteria Migliavacca e il presidente dell’Emilia Romagna Errani: hanno tutti lasciato Roma venerdì per la rassicurante ridotta emiliana, dove la politica è soltanto uno scambio di favori nell’immutabilità del potere. Silenti, irraggiungibili. Ma col doppio fallimento di Bersani - prima alle elezioni, e poi nella partita per il governo non si conclude soltanto la sua segreteria e la sua personale carriera politica. Si chiudono anche la storia antica del Pci e quella più recente della sinistra della Seconda repubblica. Dopo Bersani la sinistra non avrà mai più un leader che proviene dal Partito comunista. E con Bersani verrà rottamata non soltanto un’intera classe dirigente composta di vecchie glorie e giovani cooptati, ma anche, e per fortuna, una cultura politica intrisa di conservatorismo sociale e cementata dall’antiberlusconismo, che nel suo ultimo colpo di coda ha rispolverato il conflitto di interessi e persino l’ineleggibilità del Cavaliere pur di strappare l’accordo con Grillo. Game over : la sinistra è oggi all’anno zero. Fa un certo effetto ripercorrere la storia di questo ventennio: l’elenco dei caduti è numeroso e illustre, mentre il nome del generale vittorioso (anche quando ha perso) è sempre quello di Berlusconi, il Cavaliere nero planato sulle macerie della Prima repubblica con lo scopo dichiarato di «non consegnare l’Italia ai comunisti ». Già, i comunisti: hanno compiuto il miracolo, unici al mondo, di traghettare il loro partito al di là del Muro, salvando almeno una parte dell’argenteria di famiglia, e poi hanno sciupato ogni volta l’occasione della vittoria (anche quando hanno vinto), come se ogni volta il passato volesse riprenderseli.
Nelle sue varie incarnazioni, l’ex Pci ha giocato di volta in volta con due schemi diversi: nel primo, la guida dello schieramento progressista è stata assunta in prima persona dal leader del partito. È stato così con Occhetto, D’Alema, Veltroni e, da ultimo, Bersani. Il secondo schema prevedeva invece di affidare ad un «moderato» la leadership formale dello schieramento: Prodi (per due volte) e Rutelli. Ma entrambi gli schemi si sono rivelati fallimentari: nelle urne quelli a guida diretta, dalla «gioiosa macchina da guerra » di Occhetto sbaragliata dal «partito di plastica» di Berlusconi fino al Bersani del mese scorso; alla prova del governo gli altri: il primo Prodi è stato abbattuto dopo meno di due anni da Bertinotti e Vendola, il secondo (privo di maggioranza al Senato) si è rapidamente sfarinato sotto i colpi incrociati delle procure, di Mastella e di Veltroni.
Ma la storia delle sconfitte della sinistra è anche la storia del suo mancato rinnovamento. Ed è la storia dell’eliminazione sistematica dei rinnovatori. D’Alema paga ancora oggi il prezzo dell’infamia per aver osato infrangere i due tabù che reggono la sinistra italiana: il sindacato (lo scontro con la Cgil di Cofferati) e l’antiberlusconismo ( la Bicamerale per riscrivere insieme la Costituzione). Veltroni, che impostò la sua segreteria sulla rottura con la sinistra radicale e sul rispetto dell'avversario politico, fu costretto alle dimissioni nonostante avesse ottenuto alle elezioni del 2008 il miglior risultato per il suo partito. E a Renzi, infine, non è stato neppur concesso di correre: l’apparato ha preferito azzopparlo ai box impedendo che al secondo turno delle primarie votassero liberamente anche i cittadini non allineati.
Ora proprio a Renzi si rivolgono in molti fra quelli che l’hanno ostacolato e combattuto, o che hanno preferito far finta di niente, in nome dell’unità del partito e nella speranza che la vittoria elettorale portasse poltrone e prebende. Gli ex popolari di rito lettiano e franceschiniano, i veltroniani, gran parte di quella zona grigia che, soprattutto a livello locale, si schiera sempre e comunque con chi vince: tutti sono pronti a seppellire ancora una volta il leader di turno per acclamare il nuovo e perpetuare se stessi fino al prossimo funerale. Ma questa volta potrebbe andare diversamente. Del resto, l’unica chance che rimane a Renzi è fare ciò che ha promesso: rottamare gli sconfitti.