Col denaro il ciclismo va in capo al mondo
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In Italia spariscono le corse. La Francia le cancella. La Spagna perde le
classiche. La nuova frontiera delle due ruote è la Norvegia. Ma i soldi arrivano dai Paesi del Golfo.
di Simone Morano, lettera 43 17/3
Non bastavano l’Oman, il Ruanda e l’Indonesia. Ora è la volta del Circolo Polare Artico.
Mentre nella 'vecchia' Europa le corse con decine di anni di storia alle spalle spariscono per problemi economici, il ciclismo allarga i propri confini - per altro già molto estesi - e arriva là dove il denaro lo chiama.
L’ultima novità è The arctic race of Norway, gara a tappe che si disputa nella parte settentrionale della Norvegia dall’8 all’11 agosto.
A organizzarla è l’Amaury sport organisation (Aso): lo stesso ente che si occupa, tra l’altro, del Tour de France e della Parigi-Nizza, ma anche di competizioni dalla tradizione decisamente più breve come il Giro dell’Oman e il Giro del Qatar (il Paese del Golfo è stato anche scelto per i Mondiali su strada nel 2016).
L'ITALIA PERDE LE CORSE. In realtà il ciclismo, come anche altre discipline, va alla costante ricerca di soldi. Visto che esistono Paesi, come l'Italia, che non riescono più ad attirare investimenti.
Nel nostro Paese solo nel 2013 sono saltati - causa mancanza di risorse - il Gran Premio Costa degli Etruschi di Donoratico e il Giro della Provincia di Reggio Calabria, nato addirittura nel 1920 (vinto in passato da campioni come Learco Guerra, Gino Bartali, Fausto Coppi e Gastone Nencini).
NEL 2013 SOLO DUE GARE. Assente dai calendari anche il Giro del Friuli (nell’albo d’oro gente come Franco Bitossi, Giuseppe Saronni, Francesco Moser e Gianni Bugno), già scomparso - in realtà - nel 2012, dopo che il patron della manifestazione (Gianni Biz, poi deceduto) era stato arrestato con l’accusa di aver offerto prestazioni sessuali di alcune prostitute agli imprenditori per convincerli a sponsorizzare la gara.
Insomma, mentre solo nel 2009 il calendario italiano a febbraio proponeva 10 giorni di corse, quest’anno finora si sono disputati unicamente il Trofeo Laigueglia e il Gran premio di Camaiore.
Le due ruote allargano i confini per conquistare nuovi investitori
In uno sport, dunque, in cui un ex vincitore del Giro d’Italia come Danilo Di Luca rischia di rimanere disoccupato (e nella sua stessa situazione, a inizio 2013, c’erano corridori come Marzio Bruseghin, Massimo Codol e Claudio Corioni), c’è sempre più bisogno di soldi per poter sopravvivere: per questo, si getta lo sguardo in terre sconosciute, ma ricche.
Russia, Asia, Stati Uniti mettono sul piatto budget stratosferici, sia a livello organizzativo che a livello di premi in denaro per i vincitori delle gare; dal canto suo, l’Italia (così come Spagna e Francia) può solo sfoderare la tradizione, i paesaggi fantastici, la passione incontenibile dei tifosi. Ma non sempre basta.
VERSACE PUNTA SUL DUBAI TOUR. La parte del leone spetta, in questo senso, al Medio Oriente. Dal 2013, per esempio, oltre al Tour of Qatar e al Tour of Oman, si corre il Dubai Tour (la maglia del vincitore ha il logo Versace), probabilmente organizzato con il patrocinio di Rcs. Che ha spostato l’arrivo dell’ultima tappa del Giro d’Italia del 2013 da Milano, storico traguardo della corsa rosa, alla meno tradizionale Brescia: la Leonessa offriva più soldi, e davanti a 700 mila euro la tradizione conta poco.
IL GIRO PARTE DALL'IRLANDA. Inoltre se il Giro nel 2014 inizia da Dublino, non solo per farlo conoscere in Irlanda: ma anche perché - come ha sottolineato il direttore generale di Rcs Sport Michele Acquarone - «le autorità locali e le città italiane hanno sempre meno denaro da spendere per lo sport, si riducono le sponsorizzazioni e aumenta la pressione fiscale». Meglio puntare all’estero.
C'è crisi anche in Francia: saltate la Mi-Aout Bretonne e il Circuit de Lorraine
Se in Italia le cose vanno male, nel resto del Vecchio Continente non se la passano meglio: in Francia, per esempio, nel 2013 non si corrono la Mi-Aout Bretonne, storica competizione nata nel 1960 in Bretagna, terra delle due ruote per eccellenza, e il Circuit de Lorraine, competizione con quasi 60 anni di storia alle spalle, in programma (teoricamente) a maggio.
Per disputarla sarebbero serviti 350 mila euro e nelle casse degli organizzatori mancavano 200 mila euro, visto che il main sponsor del 2012, Regione Lorena, si è fatto da parte. E piuttosto che ridurre il numero di tappe, si è preferito annullare tutto.
PURE LA SPAGNA È MESSA MALE. In Spagna, invece, nulla da fare - dopo quasi mezzo secolo di storia - per il Cinturón a Mallorca e per il Gran Premio de Llodio-Clásica de Álava, corsa spagnola di categoria 1.1: per organizzarla sarebbero serviti 'solo' 70 mila euro (praticamente lo stipendio di un mese di Damiano Cunego), che però non sono stati reperiti.
LO SPAURACCUHIO DEL DOPING. Complici la crisi economica e soprattutto le macchie di fango (leggi: doping) che continuano a sporcarlo, quindi, il ciclismo si trova a fare i conti con sponsor in fuga (il caso recente più famoso è quello della Rabobank), che preferiscono investire su discipline più sicure e con un’immagine migliore.
Non è un caso che la Mapei di Giorgio Squinzi, patron di Confindustria, continui a rifiutarsi di tornare a mettere il proprio nome sulle maglie di una squadra: il danno d’immagine che seguirebbe un eventuale caso di doping sarebbe pessimo.
IL GIRO D'ITALIA PERDE TEAM. Ma l’ecatombe di corse dipende anche dall’istituzione del Pro Tour (una sorta di serie A del ciclismo): se nel 2004 le squadre italiane al Giro d’Italia erano 11, nel 2012 sono state solo cinque.
È evidente che, senza una vetrina importante, gli sponsor non investono soldi: e meno squadre equivalgono a meno sponsor.
Domenica, 17 Marzo 2013