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Perché il Cavaliere è pronto a far passare i candidati democratici per le presidenze
Bersani e Berlusconi vanno dannunzianamente verso le elezioni. Un passo alla volta, perché
il tacito patto rimanga al riparo dagli imprevisti, dai giochi di quanti nei rispettivi partiti vorrebbero ribellarsi a un destino che appare già segnato. Per garantire l'accordo serve che ognuno faccia la propria parte, e anche ieri - sulle presidenze delle Camere - i due acerrimi alleati hanno tenuto fede al copione.
Se è vero che i leader del Pd e del Pdl puntano al voto in giugno per garantirsi la rivincita, devono infatti affrettarsi e non perder tempo con un braccio di ferro sulle presidenze delle Camere, che contano poco o nulla in questa legislatura nata moribonda. Così Bersani ha inviato a Berlusconi un messaggio che è stato recepito: per consentire il rapido disbrigo della pratica, l'idea è di affidare gli scranni di palazzo Madama e di Montecitorio a esponenti del Pd, «ma solo per stabilizzare le istituzioni e avviare i lavori parlamentari, pronti a sacrificare le nuove cariche se fosse necessario».
E c'è un motivo se in serata il Cavaliere ha pubblicamente dato il benestare all'operazione, annunciando che il Pdl «si chiama fuori da ogni trattativa di spartizione delle cariche istituzionali». Le sirene montiane - che volevano sparigliare la partita del Senato - stavano tentando di far presa su una parte del Pdl sensibile alle lusinghe del premier, desideroso di restituirsi a un ruolo terzo in vista della corsa al Colle. Palazzo Madama sembrava alla portata del Professore, o almeno così credeva, dato che Bersani gli aveva offerto il posto. Ma si è trattato di un sofisticato gioco politico messo in atto con la (tacita) complicità dell'acerrimo alleato.
Il segretario del Pd, infatti, non poteva non sapere della contrarietà di Napolitano all'idea che Monti abbandonasse Palazzo Chigi, e ha lasciato che il premier ci sbattesse il muso. Perché il capo dello Stato è trasalito quando si è visto produrre dal premier una serie di documenti che - a detta del Professore - consentivano il trasloco, ed ha opposto il veto al termine di un colloquio burrascoso. A quel punto Bersani, che teorizzava l'affidamento di una Camera all'opposizione, ha offerto a Monti un'altra opzione: quella di indicare un esponente di Scelta Civica per lo scranno di Montecitorio, «magari Dellai».
Era una proposta vera o solo una messinscena? Perché il capo dei Democrat non è parso sorpreso al termine dell'ennesimo rendez vous con il premier, che ha dato fumata nera: «Monti - ha commentato - pensa soltanto a se stesso. Doveva essere una risorsa, è diventato invece un ostacolo. Un problema». Ed è un convincimento che si sta facendo strada anche nei gruppi parlamentari centristi, dove cova ormai un certo malcontento verso il leader. Eppoi, il Professore, non si era detto disponibile alla presidenza del Senato «solo» se fosse stato votato anche dal Pdl?
Ma né Berlusconi né Bersani hanno interesse a dare centralità e ruolo politico ai montiani, che il voto ha reso irrilevanti: il loro obiettivo semmai è di spartirsi le spoglie del centro in vista delle urne. È questo il senso dell'offerta per la Camera avanzata dal capo del Pd a Scelta Civica, così da precostituire un accordo politico per le prossime elezioni. D'altronde tutte le mosse di Bersani inducono a prefigurare un repentino finale di legislatura: pur di non fare il governo con l'acerrimo alleato ha tentato il patto coi diavoli, con Grillo e con la Lega, portabandiera dell'antieuropeismo. Due strade senza via d'uscita.
Certo, il Carroccio - pur di non tornare al voto - sarebbe disposto a garantire il numero legale al Senato, ma oltre non potrebbe andare. È vero che nel Palazzo se ne son viste tante, però un governo Bersani-Monti con l'appoggio esterno di Maroni appartiene alla sfera onirica, dato che il leader della Lega è da poco giunto al Pirellone grazie al Cavaliere. Perciò, se ogni variabile è già stata bruciata, se anche «il governo del presidente» per cambiare la legge elettorale «farà la stessa sorte - come anticipa il pdl Rotondi - perché né Bersani nè Berlusconi vogliono cambiare il Porcellum in questa delicata situazione», non restano che le urne. Entrambi hanno già pronta la campagna elettorale. Il leader del Pd accuserà i grillini di irresponsabilità, e così farà Berlusconi, il cui profilo dialogante piace agli elettori: «Lo dicono i miei sondaggi».
Rimane una piccola questione da risolvere: il Quirinale. Scartato Prodi, che - secondo il Cavaliere - «nutre un odio viscerale nei miei confronti», messi da parte Amato e D'Alema, non c'è che Napolitano. È vero che il capo dello Stato ha più volte detto di non volersi ricandidare, «ma se lo votassimo - sostiene Berlusconi - come potrebbe opporsi alla rielezione?». Anche i montiani l'hanno capito, «e a quel punto - spiega un autorevole dirigente centrista - se restasse l'unica opzione, sarebbe lui a portarci tutti al voto in giugno».
Francesco Verderami per il Corriere della Sera
16 marzo 2013 | 7:50