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A ogni intervista di D’Alema le lavatrici scompaiono e le donne tornano
a lavare i panni nei fiumi
Quando Massimo D’Alema ha liquidato Pier Luigi Bersani come “un uomo dell’Ottocento, purtroppo”, e ha criticato la campagna elettorale antiquata, che non ha saputo cogliere la frattura fra cittadini e sistema politico, molti hanno pensato che stesse scherzando. Che volesse prendersi un po’ in giro, fingersi Alessandro Baricco che spiega i motivi di una sconfitta, fare generosamente parodia di se stesso (essendo D’Alema pur sempre l’uomo che tolse il saluto a Roberto Giachetti perché aveva deciso di votare Matteo Renzi alle primarie del Pd, e che definì Beppe Grillo “un impasto di Bossi e Gabibbo”). Ma poi D’Alema ha detto, nell’intervista a Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera: “Non è che possiamo fare un convegno culturale”, parlando della necessità di governare per “salvare il paese”, e si è reso evidente che non era un gioco. Non scherzava. Il ritorno di D’Alema sulle macerie del Pd, per dettare la linea, salvare il paese e spartire Camera e Senato fra il Movimento cinque stelle e il Pdl (pensando probabilmente che parlare a Marta Grande o a Fabrizio Cicchitto richieda lo stesso linguaggio sovietico) ha avuto lo stesso effetto di un film in costume. Spaziale o preistorico, non importa: un’altra epoca, un altro mondo. Arrivati fino in fondo all’intervista, aiutati dagli analgesici per il mal di testa (perché dire “le presidenze delle due assemblee parlamentari”, se non per sadismo?), veniva l’impulso di abbracciare qualcuno, farsi pizzicare il braccio, chiedere che anno è, siamo ancora vivi, abbiamo già inventato Internet?
A ogni intervista di D’Alema le lavatrici scompaiono e le donne tornano a lavare i panni nei corsi d’acqua. Poi corrono a votare Beppe Grillo. E’ il simbolo della fine di una stagione politica, probabilmente è necessario ascoltare con smarrimento le parole: scontro pregiudiziale, governissimo, ruoli istituzionali di garanzia, aggredire il tema del debito, le tecnocrazie di Bruxelles, per capire che è finita. E’ come ha detto Alessandro Baricco a Repubblica: “Uno come Bersani si può tenere la Bindi magari presidente della Camera, o mandare ancora la Finocchiaro in televisione a dire frasi che anche nella loro struttura sintattica non esistono più. La gente non parla più così, e loro non se ne sono accorti”. Diventare all’improvviso (o forse a poco a poco, ma la percezione arriva in un istante preciso) un dinosauro, e non accorgersi che i dinosauri sono scomparsi, tutti camminano veloci per le strade, dove c’era l’erba ora c’è una città. “Non so dove fanno i comizi, chi vedono, con chi vanno a cena. Boh”, ha detto Baricco, l’uomo che guarda, l’altra faccia, consapevole, della fine di un mondo (e Walter Veltroni, che si fece da parte con stile e tempismo, si è finalmente potuto sfogare: “Mentre Berlusconi diceva: ‘Vi restituisco l’Imu’, mentre Grillo avanzava al grido di: ‘Tutti a casa’, ho visto che la risposta del Pd era affidata a un balletto organizzato sulla terrazza di Largo del Nazareno con un gruppo di persone che cantava ‘smacchiamo il giaguaro’”). Un mondo in cui Massimo D’Alema si ritiene pronto per andare al Quirinale (se il Moment ha fatto effetto e ho capito bene), e parlare delle tecnocrazie di Bruxelles, mentre Beppe Grillo, nel mondo reale, viene proclamato imperatore per acclamazione.
di Annalena Benini – @annalenabeninim , 1/3