Pd, c’è già una legge per il berlusconicidio perfetto

Uno dei primi provvedimenti di Bersani riguarda il conflitto d’interessi. Monti

ci sta (numeri permettendo)

“Sarà uno dei primi provvedimenti del nuovo esecutivo. Un testo semplice, tranciante, netto”, dice Donatella Ferranti, magistrato, parlamentare riconfermato del Pd.

Il berlusconicidio, il delitto perfetto: da almeno sei mesi è il timore più forte che agita la famiglia, l’azienda, il circolo delle amicizie più antiche e ovviamente lui stesso, il capo in persona, il Cavaliere minacciato da una legge che considera ritorsiva sul conflitto di interessi. Adesso ne parla esplicitamente Mario Monti, e Repubblica, il giornalone del centrosinistra, bene informata com’è, scrive che dalle parti del Partito democratico, nelle stanze della segreteria di Pier Luigi Bersani, la legge è già pronta, scritta e chiusa in un cassetto di Largo del Nazareno. D’altra parte la storia recente è tutta lì, nel conflitto di interessi, nel groviglio di potere, denaro, paura e consenso che ha imprigionato Silvio Berlusconi, imbullonato, a tratti persino suo malgrado, alla poltrona dell’eterno leader di una destra pure in declino. Più del “quid” negato, è stata infatti la paura del berlusconicidio a fermare l’ascesa di Angelino Alfano, il segretario quarantenne, il quasi delfino e quasi erede, il quasi leader del Pdl. E’ stato il rischio di una brutta, orribile, sconfitta elettorale, premessa certa di un “esproprio rosso”, a convincere Berlusconi alla ricandidatura, all’eterna riproposizione di se stesso. Adesso il vecchio capo cerca il pareggio in Senato, vuole fortissimamente bucare la soglia del 30 per cento, il Cavaliere “deve” sedersi ancora al tavolo che conta, nel Palazzo della politica, per spingersi poi persino alla magnanimità di un sorriso rivolto, dopo il voto, ai due ex avversari della campagna elettorale: Monti e Bersani. “La legislatura contituente non è un miraggio”, dicono ad Arcore.

Così è anche, molto, questione di pura sopravvivenza nel mare tempestoso di un capitalismo che, in Italia, come dimostra anche la storia dell’editore Cairo e del suo interessamento per la televisione La7, è capitalismo di relazioni: senza scudo, senza aiuto, senza protezione, in Italia si affoga. Non ci teneva Berlusconi a farsi carico ancora una volta “di questa soma che mi tocca portare”. E difatti a ritirarsi il Cavaliere ci aveva pensato e seriamente, a ottobre, lo aveva praticamente fatto, si era messo da parte con un messaggio pubblico, impegnativo. Ma poi i sondaggi non erano confortanti, il Pdl orfano del carisma sfacciato e imbonitorio del Cavaliere risultava grigio e inamabile, così persino la famiglia, il clan aziendale, gli amici di Arcore, pur a lungo incerti su quale fosse il migliore destino per l’amato Cavaliere, a un certo punto avevano cambiato idea, quasi tutti. Orror vacui, terrore del vuoto, dell’incognito: che succede dopo? “Senza di te, Silvio, forse diventa dura per tutti”, gli diceva persino Fedele Confalonieri, l’amico più moderato, quello dei consigli più aggraziati e assennati, il presidente di Mediaset che pure – a lungo – assieme a Gianni Letta aveva immaginato fosse possibile passare dal berlusconismo al montismo e senza troppi strepiti. Per Mediaset, per Mondadori, per la famiglia (politica e aziendale), insomma per tutti e persino per il bene di un’Italia ancora da pacificare.

 QUOTIDIANO di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo 22/2

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