Blues industriale
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L’impresa italiana è all’ultimo giro prima della desertificazione. E’ un malinconico
blues quello dell’industria italiana. Il giro di accordi è sempre lo stesso. Fischiano gli spifferi di vento nei capannoni abbandonati del nord-est, le saracinesche delle botteghe artigiane cigolano ancora una volta, ma forse è l’ultima. Eppure il cappello dell’artista, un imprenditore qualsiasi, resta vuoto. Ancora nessuno ha gettato una monetina, nessuno fa tintinnare la speranza di ricostruire un tessuto industriale che si è desertificato. La campagna elettorale è agli sgoccioli. I partiti e i candidati l’hanno combattuta con accuse reciproche e promesse altisonanti lontane dall’essere mantenute. E tra le tante promesse non c’è quella di una strategia industriale per il paese, per le piccole e medie imprese. Eppure la situazione è critica. Il fatturato delle aziende è calato del 4,3 per cento su base annua nel 2012, mentre gli ordinativi colano a picco (meno 9,8 per cento). Le statistiche dell’Istat trovano conferma anche nelle constatazioni della Confindustria che tratteggia un “quadro di estrema debolezza e fragilità”. Allargando lo scenario, nel tempo e nello spazio, il panorama è peggiore. Secondo un rapporto di Cerved Group, non ci sono mai stati così tanti fallimenti in Italia come nel decennio appena passato.
Il “boom”, se così si può definire, lo si registra negli ultimi tre anni: sono fallite 45.189 imprese, il 64 per cento in più rispetto al 2008. “Il totale delle società di capitale manifatturiere fallite tra il 2009 e il 2012 ammonta al 5,2 per cento di quelle che avevano depositato un bilancio valido nel periodo considerato, contro una percentuale pari al 4,6 per cento nelle costruzioni e al 2,2 per cento nel terziario”, scrive Cerved evidenziando l’incidenza delle chiusure al nord. In Europa la contrazione della manifattura è meno marcata ma i segnali non sono incoraggianti. L’indice Pmi manifatturiero di febbraio, pubblicato ieri da Markit, è ancora sotto i 50 punti, soglia sopra la quale si registra un’espansione dell’attività economica. L’indice Pmi per l’Eurozona è sceso da 47,9 a 47,8 punti. Calo decimale, ma peggiore delle previsioni. Resta sotto la soglia di espansione in Francia, a 43,6 punti, in lieve aumento. E’ invece poco sopra in Germania: a 50,1 punti. Non è una consolazione per l’Italia. Ogni giro di blues si chiude con il “turnaround”, una “svolta” per ricominciare. In economia significa “inversione di tendenza”. E’ ora di iniziare a suonare.