Davanti al gran gesto di Benedetto XVI / 3

 Niente letture apocalittiche non è u un cedimento al mondo. George Weigel,

cattolico tradizionale e biografo di Giovanni Paolo II, smonta le interpretazioni secolarizzanti dell’abdicazione

New York. “E’ un gesto di umiltà e realismo cristiano. Ogni altra lettura è isterica o stupidamente apocalittica”. George Weigel raramente pesca nel vocabolario diplomatico le parole per descrivere il suo pensiero. L’autore della monumentale biografia di Giovanni Paolo II, “Testimone della speranza”, ed esponente della corrente più tradizionale del cattolicesimo americano si è occupato del rapporto fra la chiesa e la secolarizzazione, ha smontato senza posa i falsi miti attorno al cattolicesimo, si è mosso nel delicato ambito della presenza cristiana in politica e si è schierato senza reticenze dalla parte di Benedetto XVI quando è esplosa la polemica attorno al discorso di Ratisbona, potente argomento a favore della convergenza fra fede e ragione sullo sfondo di un dialogo interreligioso portato senza ambiguità. Nel suo ultimo libro, intitolato “Evengelical Catholicism”, lo storico e teologo americano parla della necessità di una riforma del linguaggio e dell’articolazione del messaggio della chiesa per affrontare le sfide della nuova evangelizzazione. A caldo Weigel ha parlato, nei salotti dei network americani, del realismo di un Papa anziano in un tempo in cui le “persone vivono tendenzialmente più a lungo” e ha bollato come “falsa” l’analogia sbrigativa fra il Pontefice e un qualunque capo di governo, riflesso condizionato dei commentatori americani e non solo.

Quando discute con il Foglio dell’abdicazione di Benedetto XVI è ormai sera in America e le reazioni concitate della giornata iniziano a ordinarsi in modo più chiaro. E il rifiuto della “falsa analogia”, del cedimento della chiesa al paradigma della modernità si esprime con rigore: “Il compito della chiesa è convertire la modernità, non assimilarsi né rifiutarla. Il fatto che ci siano tante speculazioni in questo senso la dice lunga su una cultura europea che ha perso contatto con le sue radici cristiane, che includono da sempre le virtù dell’umiltà, dell’abnegazione e del sacrificio di sé che Benedetto ha esercitato abdicando”. Per Weigel, insomma, lo strappo nel protocollo non indica affatto uno strappo nell’autocoscienza della chiesa. Ma un’abdicazione ex abrupto non rischia forse di confondere i fedeli? “Vivo nell’esperienza di una chiesa vitale come quella degli Stati Uniti – dice Weigel – e mi sembra che qui la gratitudine e l’affetto per il Papa abbia prevalso. Altre reazioni temo siano il frutto di esperienze culturali diverse”. Con una formula sintetica Weigel riunisce quelli che all’occhio moderno sembrano aspetti irrimediabilmente divisi in un’istituzione umana: il realismo e il sacrificio, la chiesa materiale e quella spirituale: “Il realismo è cruciforme”. Il Papa, continua, “ha accettato di sacrificarsi per il bene della chiesa. Per chi sta ai margini dell’esperienza cristiana è difficile da capire, ma i cristiani formati dal Vangelo capiscono benissimo che la croce e il realismo di un Papa anziano sono parte della stessa coscienza”.

E Weigel rifiuta in blocco la presunta distinzione in termini di valore e portata simbolica fra un Giovanni Paolo II instancabile, atleta di Cristo consumato dalla sofferenza, e il professore che lascia il trono di Pietro per ritirarsi nel silenzio del monastero. Sono, piuttosto, specificazioni complementari della ricchezza del cristianesimo: “Giovanni Paolo II ci ha mostrato come si soffre e come si muore. Benedetto XVI ci ha fatto vedere come si vive e si invecchia nella grazia. Entrambe sono lezioni potentissime”.  di Mattia Ferraresi   –   @mattiaferraresi

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