Bilancio europeo e riforme
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La base di partenza del budget europeo era di 1.045 miliardi di euro. A
novembre era stato tagliato a 971 miliardi. Prima dell’inizio del vertice, ieri, è sceso ulteriormente a 960 miliardi. Ma con ogni probabilità le risorse “reali” supereranno di poco i 900 miliardi, perché occorre distinguere tra “impegni” di spesa e “pagamenti”. I leader europei si sono così lanciati nella rituale maratona per tentare di trovare un accordo sul bilancio 2014-2020 dell’Ue. A rimetterci saranno le spese per la “competitività e l’occupazione”: investimenti, ricerca, innovazione, infrastrutture. Perché bisogna accontentare tutti. O meglio, non scontentare nessuno. La tedesca Merkel e l’inglese Cameron si batteranno per altri tagli. Il nostro Monti e il francese Hollande hanno predicato crescita per ottenere finanziamenti all’agricoltura e alla coesione territoriale. Danimarca e Svezia hanno preteso “rebate”, sconti, come gli inglesi. La volontà di arrivare a un accordo c’è, ma tutti dicono “voglio i miei soldi indietro”. Così non resta che tagliare, in particolare le risorse non attribuite direttamente ai singoli paesi: gli stanziamenti per crescita, sicurezza, politica estera ed eurocrazia. In caso di accordo, per la prima volta nella storia, il prossimo bilancio settennale dell’Ue sarà inferiore a quello del periodo precedente. Il guaio non sono i tagli, ma la qualità della spesa. La struttura di bilancio è vecchia di 20 anni: i due terzi delle risorse che finiscono alla Politica agricola comune e alla Politica di coesione. Servirebbe una spending review amministrativa e politica per concentrare le risorse sulla spesa produttiva, anziché continuare con la filosofia dei sussidi. Il Foglio, 8/2