Controstoria del Cav. Elettorale. Scenario 6°
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Lo disegnano tutti come l’imbonitore e nemico della coppia Bersani-Monti,
e lui fa poco per smentire il senso comune. Ma più di un indizio dice che vuole “perdere bene” per spendersi i voti in una strana maggioranza 2.0
Silvio Berlusconi è ridisceso in campo per promuovere una grande coalizione dopo il voto? Sembra assurdo, ma tutto concorre a rendere non troppo inverosimile questa ancora strana ipotesi. “Lo scenario è aperto”, dice Gaetano Quagliariello quando parla del quadro elettorale, delle meccaniche di Palazzo e delle alleanze; e Fabrizio Cicchitto, il capogruppo del Pdl alla Camera: “Impossibile prevedere”. Tutto è dunque possibile, specie se si ha a che fare con il Cavaliere, uomo adulto, realista, cinico e disinvolto.
D’altra parte dicono che un po’, tra sé e sé, il Cav. sorrida dei consigli dei suoi fantasiosi e oscuri collaboratori, quelli che hanno teorizzato di restituire l’Imu agli italiani. Nel suo strambo partito, il Cavaliere è l’unico a non prendersi sul serio, l’unico ad avere coscienza di sé, sufficiente cinismo e maturità da non crederci troppo. La sua è una campagna elettorale guascona, drogata; come drogati sono gli inaffidabili sondaggi che riempiono quotidiani e televisioni, quelli che decretano la ripresa e la grande rincorsa del Pdl sulla scia della lepre Bersani.
Ma qualcosa c’è, e Berlusconi, come dicono a Palazzo Grazioli, “ha calato le reti da pesca più grandi che aveva”: con lui il Pdl va meglio che con Angelino Alfano (“Alfano ha così poco carisma che al casello, quando passa lui, non si solleva nemmeno l’asta del telepass”, dice Maurizio Crozza quando incarna alla grande l’animo profondo del Cavaliere). Ed è questa l’unica ragione per la quale Berlusconi ha deciso, alla fine, dopo aver a lungo tentennato, di ri-discendere in campo. Lo ammettono, tra i denti, anche gli assidui frequentatori di Arcore: si è fatto carico di una soma per evitare una brutta sconfitta. Ovvero: sa che perderà comunque, ma vuole perdere bene, intende raggiungere delle cifre che gli consentano, dopo il voto, di sedersi al tavolo delle trattative, quello che – pensa Berlusconi – inevitabilmente si aprirà a urne chiuse. E la parola “grande coalizione”, qui e là, viene maneggiata con una certa disinvoltura, specialmente negli ambienti più moderati del berlusconismo, tra quelli che sanno, quelli che conoscono il capo. Certo, è quasi un’illusione, ma fini a che punto? Mario Monti, che ripropone la candidatura al Quiririnale di Giorgio Napolitano, ovvero del teorico della “strana maggioranza”, lavora in tutta evidenza a uno scenario di larghe intese e lo ripete pure, con cautela, ogni volta che può.
Insomma le ragioni del ritorno in campo di Silvio Berlusconi (e persino le motivazioni più profonde della “salita” del professor Monti) andrebbero rilette alla luce di quello che si mormora insistentemente ad Arcore, a casa del Cavaliere: il grande capo sta cercando solo la migliore performance elettorale, e dunque picchia duro gli avversari e promette molto, ma senza essere mai carognesco (martedì sera, a “Ballarò”, ha baciato Floris). Dopo il voto sarà tutta un’altra storia. Nessuno meglio di Berlusconi sa che nel prossimo Parlamento, a partire già dai primissimi giorni, il suo Pdl rischia grosso: uno smottamento considerevole di parlamentari verso le file montiane, verso le braccia aperte del furbo Pier Ferdinando Casini, laddove ancora si gestirà del potere, dove si starà al governo. “Il flottante sarà molto”, prevede anche Mario Sechi, l’ex direttore del Tempo che siederà alla Camera nel gruppo di Monti. Come evitare un possibile disastro, considerato che gli uomini attratti dal montismo, e inclini ad ascoltare i consigli delle gerarchie ecclesiastiche, nel Pdl non sono pochi? Semplice: potrebbe essere Berlusconi, quello che adesso ha indossato la maschera pazzotica del piazzista imbonitore, a promuovere un’operazione di grande responsabilità istituzionale: larghe intese con Monti e Bersani.
Un’approdo oggi inverosimile. Ma nel Palazzo ci pensano in tanti, da Arcore fino a Segrate (casa Mondadori). Svariati sono gli indizi, e non solo perché i piani alti di Mediaset, i vecchi e fedeli amici, tifano per un appeasement moderato. Pier Luigi Bersani gioca a fare il montiano a Berlino, mentre i gemelli diversi Nichi Vendola e Roberto Maroni, leader delle due solite estreme, appaiono spiazzati. Il governatore pugliese è rimasto quasi afono per i postumi della performance tedesca di Bersani, e Maroni è evidentemente intontito dal turbinio di proposte bislacche del suo fantasmagorico alleato, il Cavaliere Berlusconi (“No, l’Imu non l’avevamo concordata. Non è nel programma. Non vale”).
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di Salvatore Merlo – @SalvatoreMerlo