Un giudice della Siria liberata ci spiega le frustate

 “Abbiamo più di un milione di cristiani su cui la sharia non 

potrà essere applicata”. I gay? “Giù da una rupe”. 

Darkush, provincia di Idlib, Siria. Prima di diventare giudice della Corte islamica di Darkush, Sheikh Bilal insegnava Religione in un istituto tecnico. Ora rappresenta la legge in questo villaggio siriano di meno di diecimila abitanti a ridosso del confine turco nella regione di Idlib. La città più vicina è quella di Jisr al Shugur, 400 chilometri a nord di Damasco, una delle prime a essere stata bombardata dal regime. Nonostante le mille battaglie e la sua importanza campale, l’esercito siriano libero non è riuscito ancora a prendere il controllo del grande centro urbano da cui continuano a fuggire migliaia di profughi.

Sheikh Bilal è uno di questi. Ha un’aria felice, anche se si porta molto male i suoi 28 anni. La barba lunga fino allo sterno e gli occhiali spessi gliene donano molti di più. Ci accoglie senza remore in abiti civili e kalashnikov in mano. “Sappiamo cosa pensate di noi, che tagliamo le mani e lapidiamo le donne ma non è così”.

Il suo ufficio è dentro una casa a due piani usata da una brigata islamista dei ribelli come punto di appoggio. L’edificio in pietra d’Aleppo sorge in mezzo a una campagna florida, ricca di cascate, centinaia di pecore brucano indisturbate nonostante l’eco delle bombe che cadono a Hamama, a meno di dieci chilometri di distanza. “Sto studiando giurisprudenza ora ma ho dovuto interrompere a causa della guerra”. Da quando è diventato giudice per acclamazione (durante una riunione delle brigate dei ribelli che presidiano Darkush), Sheikh Bilal sembra non aver molto tempo libero. “Esamino 20 casi al giorno tre volte a settimana”. La maggior parte di questi sono “controversie” tra brigate dei ribelli. “Una volta ho dovuto separare due gruppi che vivevano nella stessa base – spiega – ho tolto loro le armi per evitare che si ammazzassero. Alla fine le ho restituite ma soltanto dopo aver ottenuto il giuramento da parte dei capi che non ci sarebbero stati nuovi scontri”. Le liti tra le diverse brigate nascono per questioni legate ai soldi e alle ripartizioni delle armi dopo la conquista dei checkpoint dell’esercito regolare. Ma sono molti i ribelli che si dedicano a ruberie e contrabbando. (segue dalla prima pagina)

Sheikh Bilal dice anche di recarsi su ogni nuovo luogo di conquista, per decidere cosa fare degli avversari morti in battaglia o catturati. “I prigionieri – spiega – non li uccidiamo quasi mai per riavere i nostri”. Lo scambio è “uno a uno” e avviene attraverso persone fidate che lavorano ancora per il regime. “Anche per i corpi procediamo allo stesso modo, facciamo di tutto per riottenere i nostri martiri e dargli una degna sepoltura”. Basta fare un piccolo giro intorno a Darkush per vedere una costellazione estesa di nuove tombe. Grazie allo scambio di prigionieri il carcere gestito da Sheikh Bilal è vuoto, anche perché se si catturano uno shabiha (un uomo delle milizie pro regime) è quasi impossibile che i soldati ribelli “non lo facciano fuori all’istante, viene freddato come un animale”.

Quando non si occupa di faccende legate alla guerra, Sheik Bilal si dedica alla soluzione di furti, incidenti d’auto, matrimoni, divorzi e successioni. Sul diritto di famiglia lo sforzo è minimo perché anche nella Siria laica degli Assad la sharia è sempre stata applicata concedendo di fatto la poligamia, l’affidamento dei figli sempre ai padri in caso di divorzio e quote inferiori alle eredi femmine. Il vero problema interpretativo sorge su altri temi come l’adulterio e l’omosessualità.

“Per gli adulteri non sposati – ci spiega – le frustate possono variare dalle 80 alle 100, per quelli sposati invece c’è la pena capitale. Ma l’adulterio è quasi impossibile da dimostrare perché il Corano richiede la conferma di quattro testimoni oculari”.  Quanto agli omosessuali: “Se sono sposati saranno lanciati da una rupe, i celibi invece saranno puniti con 100 frustate”. Della punizione spartana comunque nel Corano non c’è traccia e Sheikh Bilal parla al futuro perché finora queste sentenze non sono state applicate. Le Corti islamiche al momento sembrano funzionare più come briglia al far west dell’Esercito libero dei ribelli che come strumento repressivo della società. “La Siria non è l’Afghanistan – riprende Sheikh Bilal – Abbiamo più di un milione di cristiani su cui la sharia non può essere applicata”. Sugli abitanti dei villaggi sciiti invece pochi dubbi: “Diverranno tutti sunniti”. di Susan Dabbous, 27/1 - © - FOGLIO QUOTIDIANO

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