Potere politico elitario
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Superare le resistenze di “un establishment economico al quale piace
criticare ma che non vuole essere disturbato”. E’ questo il Monti-pensiero più difficilmente sintetizzabile nelle “agende” elettorali, illustrato però due sere fa dal premier a Roma, nella depressione geologica dov’è sito il Parco della musica, per una sera simile alla collina dell’Areopago. Era la presentazione del suo ultimo libro (“La democrazia in Europa”, scritto per Rizzoli assieme all’eurodeputata francese Sylvie Goulard). Un evento a metà tra una “lezione frontale” di bocconiana memoria e un “salotto mondano” di tradizione romana. In un affollato Auditorium dietro la “cattedra” si erano accomodati lo stesso presidente del Consiglio, con alla sua destra Stefano Folli (editorialista del Sole 24 Ore) e Paolo Mieli (presidente Rizzoli libri), alla sua sinistra la coautrice Goulard e Mario Sinibaldi (direttore di Rai Radio 3), tutti quanti a scherzare sui rispettivi titoli: “‘Professore’, io?”, si è schermito Folli quando Monti lo ha così apostrofato; “Professore è uno stato dell’animo”, ha replicato Monti; e poi Folli di rimando ha dato del “magnifico rettore” a Mieli. Davanti alla cattedra, invece, pezzi di palazzo più o meno adorante (tanti gli applausi, sobri): in prima fila c’erano esponenti di governo (dal ministro dell’Ambiente Corrado Clini ai sottosegretari Antonio Malaschini e Giampaolo D’Andrea) e non solo (Michele Vietti, vicepresidente del Csm, Aurelio Regina, numero due di Confindustria), poi il mondo della carta stampata (da Antonio Polito a Lelio Alfonso, entrambi di scuderia Rcs, poi Guy Dinmore del Financial Times), parlamentari uscenti vari (inclusa Paola Binetti) e a metà sala ex banchieri centrali (come Lorenzo Bini Smaghi). La lezione era abbordabile, ma non scontata: il caos finanziario è rimandato – è il messaggio di fondo – ma la crisi in Europa si supera soltanto innovando alla radice le nostre democrazie. Per Goulard, infatti, il fulcro del libro scritto con Monti è nella “perenne tensione tra i serrati ritmi elettorali e il fatto di dover guardare lontano, sia nel lungo termine che nello spazio”. Goulard ribadisce quanto detto al Foglio la settimana scorsa: già oggi le democrazie si avvalgono felicemente dei tecnocrati, dalla Banca centrale europea alle Authority indipendenti, e senza che la volontà popolare sia tradita. Bisogna continuare su questa strada, altrimenti i politici da soli – schiavi del consenso e bersagliati in tempo reale dai media – non riusciranno più ad assumere scelte difficili come quelle dei padri fondatori europei. E se Mieli a un certo punto faceva notare con malizia che Monti ormai parla di “sinistra” e non più di “centro-sinistra”, e chiedeva con insistenza perché in Italia non si smetta l’assetto da “unità nazionale” e Monti non si schieri a destra, è stato Folli a ritornare al contenuto del libro. “In queste pagine citate il politologo americano Nathan Gardels e l’idea che le nostre democrazie si siano trasformate in vetocrazie”. E poi: “Forse avrete visto il dibattito nel Foglio sulla vostra idea di ‘democrazia elitaria’”. Goulard non si tira indietro: “Elite e meritocrazia sono due poli fondamentali. Se un paese funziona in maniera davvero meritocratica, io sono a favore di una élite meritocratica” cui assegnare un ruolo-guida. Monti a tratti pare quasi oscurato dalla effervescente liberale francese (verso la fine chiede ironico: “Posso parlare anche io?”), ma sul tema delle élite glissa. Almeno fino a quando Sinibaldi concede la parola al pubblico. Tuttavia, come prassi accademicotecnocratica vuole, “si astengano i giornalisti, per favore” (molto gustoso). Detto fatto: prima parla un insegnante (domanda buona e tenera), poi una ballerina brasiliana di colore – con un passato in politica con Francesco Rutelli – che vorrebbe essere candidata da Monti, quindi tocca a una “psicoterapeuta”
che improvvisa un’analisi del Monticomportamento, infine a una signora curiosa di affari tedeschi (che poi lo stesso Monti “svela” essere Veronica De Romanis, esperta di Germania e moglie di Bini Smaghi). Non volete giornalisti e politici? Ecco la società civile, bellezza! Si alza infine un “accanito lettore del Foglio” (il sottoscritto) che chiede a Monti di non lasciar cadere lo spunto di Folli. Cosa pensa delle élite in democrazia? “Elite o non élite, io ritengo, e forse questo è un atteggiamento elitario – ammette il premier – che è compito dell’uomo politico prospettare una visione del futuro. Non dico ‘educare’, ma quantomeno ‘non diseducare’, abituare i cittadini a uscire dalla visione di breve periodo”. Monti è sorpreso dalle critiche arrivate in queste ultime settimane da élite economiche ed editoriali? Non proprio: “Effettivamente l’establishment italiano è stato tra i più severi critici delle politiche del mio governo. D’altronde la Thatcher, quando introdusse le riforme concorrenziali nel Regno Unito, dovette affrontare allo stesso tempo imprenditori e sindacalisti”. Poi la conclusione sull’Italia: “Al potere economico piace criticare, ma soprattutto piace non essere disturbato”. Fine. E applausi, sempre più sobri, da dietro e da davanti la cattedra.
Twitter @marcovaleriolp