Chi è il saudita che adesso guiderà lo Stato islamico in Libia
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Il suo esordio con minacce contro Roma. I raid in Tunisia sono guidati da un leader processato a Milano
di Daniele Raineri | 09 Marzo 2016 ore 19:59 Foglio
Roma. Martedì notte lo Stato islamico ha annunciato il nome del suo nuovo comandante in Libia e vale la pena darne conto considerato che l’Italia sarà alla testa di un intervento militare della comunità internazionale per sradicare il gruppo. Il capo è Abdulqader al Najdi e prende il posto dell’iracheno Abul Mughira al Qahtani, ucciso all’alba del 14 novembre scorso da un raid aereo americano, compiuto grazie a informazioni ricevute da Parigi. Questo pseudonimo, Al Nadji, indica che anche il nuovo capo non è libico, ma è – in questo caso – saudita. La sua esistenza è stata rivelata dallo Stato islamico con un’intervista-esordio di due pagine sulla rivista in arabo del gruppo, al Nabaa, gemella dell’altra, molto più nota, che è scritta in inglese e si chiama Dabiq.
Come sottolinea Marco Arnaboldi, collaboratore dell’Ispi specializzato in islam politico, l’intervista di al Najdi è vuota dal punto di vista del contenuto, non aggiunge nulla a quanto già si sa – incluse le minacce di conquista contro Roma: “Allah ci ha promesso la liberazione di Roma. Chiedo a Dio che i liberatori siano i soldati del Califfato”. Tuttavia è interessante dal punto di vista formale. “L’elemento religioso è molto presente, anche considerati gli standard della produzione dello Stato islamico, in cui i riferimenti religiosi sono reiterati ogni poche righe, sempre, in tutti i messaggi. Al Najdi fa ampio uso della parola ‘inna’ per introdurre le sue risposte: questa in arabo viene utilizzata per rafforzare il discorso”, quindi si nota un tono categorico e ultimativo. “Al Najdi è uno abituato a farsi valere, ha un’ottima padronanza dell’arabo classico e sembra essere versato nelle scienze islamiche. La scelta di presentarsi come un uomo colto e deciso è anche funzionale alla natura della rivista, meno patinata di Dabiq e dedicata al mondo arabo, con il quale non vuole sfigurare”.
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A dicembre il New York Times ha citato fonti d’intelligence americana per dire che Abu Ali al Anbari, il secondo in comando dello Stato islamico, era arrivato via nave in Libia. A gennaio il quotidiano algerino El Watan, citando fonti della sicurezza, ha scritto che al Anbari era stato soltanto in visita. E’ possibile che l’uomo sia stato incaricato dal comando del gruppo di andare in Libia e sistemare la questione della successione nella leadership nel paese nordafricano – dopo la morte sotto le bombe dell’iracheno al Qahtani. Come ha fatto il suo predecessore, forse anche al Najdi ha cambiato nome con il suo arrivo al vertice in Libia e per questo non si trovano tracce di lui prima di martedì. Però la nazionalità, saudita, e il suo essere così ferrato nel discorso religioso puntano in direzione di un capo già conosciuto, il saudita Abu Habib al Jazrawi. Al Jazrawi è uno dei pionieri del gruppo in Libia, è stato lui a dirigere il primo giuramento di fedeltà pubblico a Baghdadi, nella città di Derna venerdì 31 ottobre 2014. Era nel paese da ancora prima e aveva contatti anche con Abdel Hakim al Behladj, un leader islamista ora ripulito che nel dopo Gheddafi è diventato sindaco di Tripoli e poi leader del partito el Watan. Oggi al Jazrawi e Behladj si sparerebbero a vista. Il secondo è arrivato a Roma, a fine febbraio, per proporsi al governo italiano come alleato in un’offensiva militare contro Sirte, capitale dello Stato islamico.
Raid in Tunisia
Lunedì c’è stato un raid dello Stato islamico in Libia a Ben Guerdane, in Tunisia, e si è trattato di una operazione militare in grande stile, finita con cinquanta morti – per la maggior parte sono aggressori, perché il governo dice di essere stato avvertito in anticipo e quindi i soldati avevano la guardia alzata. Due giorni prima, sabato 5 marzo, il ministero dell’Interno di Tunisi aveva lanciato un allarme pubblico su Moez Fezzani, nome di battaglia Abu Nassim, e su un suo aiutante di campo, Miftah Manita. Il 7 marzo Manita è morto nel raid e quindi si pensa che Fezzani sia uno dei grandi organizzatori dell’attacco. Fezzani parla italiano ed è stato a lungo in carcere e sotto processo a Milano per terrorismo, ma fu prosciolto ed espulso per ragioni di sicurezza nel 2011. Fezzani aveva senz’altro un ruolo di comando a Sabrata, poco più a est sulla costa libica, dove quattro italiani sono stati sequestrati nel luglio 2015. In breve: un estremista passato per l’Italia e conosciuto bene dai nostri servizi antiterrorismo c’entra con questo raid di Ben Guardane, con le stragi del museo del Bardo e della spiaggia di Sousse, entrambe preparate a Sabrata, e forse anche con i sequestri in quella zona – che potrebbero essere operazioni dello Stato islamico.
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