Il circo di Corbyn sull’intervento militare in Siria
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Il leader del Labour ha mosso i suoi alleati più antiguerra, ma non sono bastati. Alla conta ai Comuni
di Paola Peduzzi | 01 Dicembre 2015 ore 06:00
Milano. Jeremy Corbyn, leader del Labour britannico, ha deciso ieri di dare libertà di voto ai deputati del suo partito sull’ampliamento delle azioni militari contro lo Stato islamico in Siria proposto dal governo conservatore di David Cameron. Nel comunicato finale, dopo una riunione caotica e guerreggiata, non c’è nemmeno la precisazione, nonostante l’insistenza di Corbyn, sulla contrarietà della leadership ai bombardamenti. Per emergere senza troppi lividi dal “circo” che, secondo i racconti, ha dominato l’incontro di ieri del governo ombra laburista, Corbyn ha chiesto più tempo per il dibattito parlamentare, in modo da rimandare, per quanto possibile, il voto ai Comuni, mettendo in difficoltà Cameron che insiste per una reazione rapida e solidale nei confronti dei francesi colpiti a Parigi dallo Stato islamico. Due giorni di dibattito, è la richiesta del Labour: per ora si parla di una discussione ai Comuni domani, e il portavoce di Downing Street ha spiegato che ci sono già state tre ore di domande giovedì scorso, come a dire: il dibattito c’è già stato. L’obiettivo di Corbyn è chiaro: togliere pressione dalla propria leadership, in “stato confusionale” come dicono molti commentatori (e molti laburisti), per spostarla sul governo, che con il voto in Siria ha deciso di dissolvere il pessimo ricordo di quel che accadde nel 2013, quando perse il voto per autorizzare il blitz contro il regime di Damasco. Ma con la libertà di voto nel Labour, le chance di successo di Cameron sono molto più alte, anche se la certezza non c’è, e l’opinione pubblica è molto contraria all’intervento militare.
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Negli ultimi giorni, il leader laburista era sembrato convinto: ha inviato un’email “persuasiva” ai deputati evitando di coinvolgere nelle sue argomentazioni alcuni ministri ombra propensi a un voto favorevole – nemmeno il ministro degli Esteri ombra, Hilary Benn, ha ricevuto tali missive – e intanto ha scatenato il suo braccio attivista, l’associazione Stop the war, che ha spedito circa 40 mila email a sostenitori e simpatizzanti denunciando i propositi inutilmente belligeranti del governo Cameron. Presentandosi domenica nel salotto di Andrew Marr, Corbyn ha fatto capire di voler imporre una disciplina di partito per enfatizzare la tenuta della propria leadership. Poiché la reazione, in parte del Labour, non è stata affatto conciliante, è poi intervenuto Len McCluskey, super leader del sindacato più importante del Regno Unito nonché custode dell’ascesa politica di Corbyn, dicendo: il Labour non è un partito “free-for-all”, ci vuole una coerenza interna e chi non si adegua può anche levarsi di torno. I toni si sono alzati a tal punto che il Times, con evidenti intenti maliziosi, ha scritto ieri mattina: a questo punto, se Corbyn vuole un partito che gli assomiglia, se si sta “godendo ogni minuto di questa leadership” come va dicendo lui stesso, vada fino in fondo e non lasci alcuna libertà di voto.
Solo che la libertà di voto ora c’è, il partito è “free-for-all” e secondo alcuni calcoli trapelati ieri il blocco laburista che ha intenzione di votare a favore delle operazioni militari in Siria garantirebbe a Cameron il sostegno necessario. Dentro all’incontro pare sia successo di tutto, con Corbyn che ha vietato al suo ministro degli Esteri di parlare di Siria ai Comuni come rappresentante del partito, com’è consuetudine (Benn avrebbe urlato in risposta: lo farò comunque!, e infatti parlerà domani assieme a Corbyn), che ha cercato di dare una linea di massima per contrastare la proposta del governo, ricevendo in cambio risposte tipo: “che imbarazzo”, “mai avuto tanta vergogna in vita mia” – una “guerriglia”, ha detto un ministro ombra al Daily Telegraph. I corbynisti sono inviperiti, l’immancabile George Galloway ha detto che il leader laburista ha commesso “un errore morale” dando la possibilità a Cameron di intervenire in Siria, e anche “Stop the war” si è risentita non poco. Ora si va alla conta dei voti – non si sa ancora quando – con molti giornali, a partire dal Financial Times, che scrivono: non possiamo essere marginali nella guerra contro lo Stato islamico, è una questione più rilevante del tatticismo politico, e con i sostenitori di Corbyn che, nonostante la bruciature, minacciano indefessi i compagni di partito: non giocate con il fuoco.
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