La visione miope dell'Europa che emerge dietro la strage di Parigi
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Egoismi, priorità sballate, arretratezze politiche. Quali sono i limiti politici e strutturali del nostro Continente nella difesa della sicurezza dei cittadini. L'ex presidente del Consiglio Mario Monti sul Foglio
di Mario Monti | 14 Novembre 2015 ore 21:30
Le azioni terroristiche di Parigi costituiscono un episodio di una guerra dichiarata, abbastanza chiara nelle finalità e nel disegno complessivo, imprevedibile solo nei tempi e nei luoghi delle prossime azioni belliche, ciò che rende massimo il “terrore”.
Il suo obiettivo è l’Occidente, l’Europa in primo luogo. Ma qual è la risposta dell’Europa a questa guerra, destinata a protrarsi ? E più in generale alle guerre, che forse avranno tendenza a moltiplicarsi nei prossimi decenni? Sostiene ad esempio Ghassan Salamé che con la caduta del muro di Berlino si era creduto che la guerra fosse divenuta obsoleta; ma presto è intervenuta una fase di nuove guerre e poi di guerre ibride. Per riflettere costruttivamente sulla risposta dell’Europa, credo sia necessario discutere su quattro punti essenziali.
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Quale UE per la sicurezza (UE / UK / USA) ? La capacità dell’Europa di rispondere ai conflitti, e di prevenirli, dipenderà molto dallo stato di salute dell’Unione Europea, dalla piena appartenenza o meno della Gran Bretagna alla UE, dalle relazioni tra questa, gli Stati Uniti e la Nato. Un solido legame da pari a pari con gli Stati Uniti (da consolidarsi con l’accordo transatlantico TTIP) e un rapporto non troppo allentato con la Gran Bretagna (tema già oggi sul tavolo) potranno apparire aspetti non prioritari a chi mira soprattutto a rafforzare l’Eurozona anche conferendole una più spiccata e coesa identità politica. Ma il bene pubblico “sicurezza”, con la sicurezza interna sempre più indissociabile da quella esterna, sarà richiesto ancor più di oggi, e ancor più di oggi difficile da fornire. Anche dentro l’Eurozona cittadini e imprese esigeranno sicurezza in misura adeguata ai nuovi rischi geopolitici ; e non sarà una migliorata governance dell’Eurozona, pur indispensabile, a potergliela dare.
Politica estera e della difesa comune. Mi limito a ricordare questo punto. Da anni considerato prioritario, esso registra progressi troppo lenti. Forse, ora che i cittadini ne vedono sempre più chiaramente il nesso con la loro personale sicurezza a casa loro, eserciteranno maggiore pressione sui rispettivi governi affinchè non si arrocchino nella gelosa tutela di tradizioni storiche e di interessi particolari, i quali finiscono per essere coltivati non per, ma contro, gli interessi veri dei loro cittadini.
Beni pubblici e benessere privato. Se l’Unione Europea entra in una fase storica carica di sfide nuove rispetto ai suoi primi settant’anni – sfide legate ai profughi e ai migranti, alla guerra asimmetrica in corso, alla sicurezza interna ed esterna, alla necessità di spendersi seriamente per lo sviluppo sostenibile dell’Africa e del Medio Oriente, anche ad evitare che si scarichino sull’Europa flussi e tensioni insostenibili – ci sono due “confini” che devono essere riconsiderati quello tra beni pubblici e benessere privato e quello tra beni pubblici nazionali e beni pubblici europei.
Soprattutto in alcuni Paesi periferici, come l’Italia, si sta vivendo ora una tardiva onda lunga dell’era reaganiana. Ci si rende conto, sì, che sono sempre più essenziali beni pubblici, come appunto la sicurezza interna ed estera, un minimo di istruzione, una maggiore tutela ambientale, ed altri. In parte, certo, la fornitura di questi beni pubblici può avvenire anche con un’intelligente mobilitazione del settore privato. Ma in gran parte il ruolo dello Stato, in generale dei pubblici poteri, è essenziale. Anziché battersi a fondo perché il funzionamento dello Stato sia più efficiente, più trasparente, meno costoso, ma tuttavia dotato di risorse adeguate per svolgere i suoi compiti essenziali, sembra prevalere una certa rassegnazione. Si mira allora a sostenere il benessere privato, dando priorità alla riduzione delle tasse (“vanno ridotte tutte”, “non verranno mai più aumentate”, “alcune tasse saranno abolite” e “per sempre”) quasi come dovere morale dello Stato verso i cittadini e le imprese. Il loro consenso è assicurato, ma forse così facendo si trascurano interessi essenziali dei singoli Paesi, in un’Europa che deve “armarsi” della capacità di essere sicura, di sconfiggere il terrorismo, di farsi rispettare nel mondo. Inoltre i singoli Paesi, e l’Europa, faranno bene a tornare ad avere una certa attenzione per le disuguaglianze, cresciute a dismisura; e dovranno usare anche i sistemi fiscali per combattere le disuguaglianze eccessive, ancor più se vogliono conservare o accrescere una certa coesione sociale e nazionale dinanzi a un futuro forse caratterizzato da maggiori conflittualità esterne.
Beni pubblici: nazionali ed europei. In questo contesto, ci si deve anche chiedere se la UE – alla quale gli Stati tendono ora ad attribuire nuovi compiti, oggi di fronte ai profughi e ai migranti, domani forse in materia di sicurezza e difesa – possa operare all’altezza delle aspettative degli Stati e dei cittadini con un bilancio che per dimensione è pari circa all’uno per cento del PIL della UE e per struttura ha nelle “risorse proprie” una quota sempre più esigua del totale, mentre il grosso proviene da contributi nazionali poco trasparenti e spesso non rispondenti ad alcun principio di equità. Anche qui, è cruciale perseguire una maggiore efficienza e rinunciare a una miriade di piccoli programmi non essenziali per la vita dell’Europa. Ma dare alla UE funzioni impegnative e costose, facendo mancare i mezzi necessari, è il modo migliore per fare crollare la fiducia dei cittadini sia nella UE che nei governi nazionali.
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