Ci vuole l’esercito contro i migranti, ci dice il ministro degli Esteri ungherese

“L’Europa vuole sapere come gestire il flusso dei migranti? L’Ungheria l’ha dimostrato". Parla Péter Szijjártó, 37 anni, ministro degli Esteri del governo Orban.

di Andrea Affaticati | 05 Novembre 2015 ore 06:27

Milano. “L’Europa vuole sapere come gestire il flusso dei migranti? L’Ungheria l’ha dimostrato. Bisogna chiudere le frontiere esterne dell’Ue con ogni mezzo. Siamo ventotto stati membri, ognuno metta a disposizione quel che può, polizia, soldati, navi, motovedette, elicotteri, tecnici che elaborino un sistema efficace di protezione delle coste greche”, dice al Foglio Péter Szijjártó, 37 anni, ministro degli Esteri ungherese, in visita a Milano per inaugurare la Hungarian Trading House. Szijjártó invoca l’unione di intenti che già esiste tra l’Ungheria e gli altri stati membri del gruppo Visegrad: Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia. Perché gli ungheresi non hanno chiuso da soli le frontiere con la Serbia e la Croazia. Ciascuno degli stati del gruppo ha mandato una cinquantina di poliziotti e alcuni esperti. E ora che a Varsavia è cambiato il governo ci sarà compattezza anche nella questione della redistribuzione dei migranti. “Un progetto assurdo oltre che inapplicabile, e le spiego perché”, dice Szijjártó. “Mettiamo che un gruppo di siriani venga mandato in Bulgaria. Secondo lei quanto ci impiegano a fare le valigie e rimettersi in cammino per la Germania?”.

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Un leader dell’altro mondo Budapest non intende fermarsi alla chiusura delle proprie frontiere. Insieme alla Slovacchia vuole anche andare davanti alla Corte di giustizia europea. “I trattati ci sono e vanno rispettati. E’ vero, il trattato di Dublino è stato scritto in una situazione completamente diversa rispetto a quella odierna”, ammette il ministro, “ma allora va cambiato secondo le procedure previste dall’Ue. Non siamo al supermercato dove ognuno prende quel che gli piace”. Senza riforme immediate c’è il pericolo di far saltare Schengen,la più grande conquista dell’Unione europea”.

Abolire Schengen sarebbe un danno non solo per la libera circolazione delle persone, ma soprattutto per l’economia. “Oggi è facile calcolare il tempo di percorrenza di un camion partito da Milano per Budapest. Con la fine di Schengen ci potrebbero volere giorni. Bisogna fare di tutto perché Schengen non salti”. L’Ungheria si è sempre comportata in modo leale con Bruxelles, ma Bruxelles è lenta, non ascolta e non agisce tempestivamente. “Da tempo avevamo chiesto all’Ue di tenere d’occhio la rotta dei Balcani, perché eravamo sicuri che da lì sarebbe arrivato il flusso maggiore di migranti”. Szijjártó definisce i profughi che arrivano a centinaia di migliaia in Europa, sfuggendo alla guerra in Siria, come migranti. Il perché lo spiega durante la conferenza stampa: i siriani sono migranti perché arrivano via Serbia, Croazia, Slovenia, Austria, tutti paesi sicuri dove però non vogliono stare. Vogliono tutti andare in Germania. “Domandiamoci il perché. Per ragioni economiche e basta”. E non è vero che i profughi potranno in futuro rivelarsi una risorsa per l’economia e la demografia dei singoli stati. “Può essere vero per la Germania, che ha mancanza di manodopera, ma tutti gli altri paesi hanno ancora tassi di disoccupazione significativi. Mentre il calo demografico si contrasta con una mirata politica di sostegno alle famiglie”.

Oltre al pattugliamento massiccio delle frontiere esterne dell’Ue bisogna però “contemporaneamente” sostenere economicamente i campi profughi in Turchia,  Giordania, Libano, Kurdistan. “Se li facciamo arrivare fino a qui allora non torneranno mai più indietro”. E infine  bisogna sedersi tutti a un tavolo, Russia compresa, per risolvere il conflitto siriano. Si è perso troppo tempo a chiedersi cosa fare di Bashar el Assad – “questa è una domanda da porsi in un secondo tempo” – quando l’obiettivo primario dovrebbe essere la sconfitta dello Stato islamico. Per questo Szijjártó ha visto con favore il vertice sulla Siria che si è tenuto una settimana fa a Vienna e al quale ha partecipato anche l’Iran. “Il recente accordo sul nucleare sottoscritto con l’Iran è la prova che la diplomazia multilaterale è il miglior strumento per dirimere questioni particolarmente delicate. Ed è chiaro che la Russia non può essere esclusa. E’ importante che tra la Russia e la comunità transatlantica ci si torni ad accordare”.  

Andrea Affaticati

Categoria Estero

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