CONTRARIAN Foglio 19.10.2015
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La mossa di Weidmann (sul rischio sovrano) che allarma Banca d'Italia. Una delle principali e indiscusse lezioni della crisi dell’Eurozona è che anche gli Stati sovrani possono fallire
di Marco Valerio Lo Prete | 19 Ottobre 2015 ore 17:37
Oggi, come ogni lunedì, è andata in onda "Oikonomia", la mia rubrica su Radio Radicale. Qui trovate l'audio, di seguito invece il testo.
Una delle principali e indiscusse lezioni della crisi dell’Eurozona è che anche gli Stati sovrani possono fallire. Esattamente come in una società privata o in un singolo ente, le entrate e le uscite pubbliche di uno Stato non possono essere troppo a lungo in disequilibrio. Fino al 2009, si riteneva che il default di un paese fosse il tipo di evento riservato al mondo in via di sviluppo. Il caso limite della Grecia, seguito dall’innalzamento del rischio percepito sul debito sovrano di grandi economie come quella italiana e spagnolo, ci hanno ricordato che non è così.
Tale nuova consapevolezza ha avuto ovviamente molteplici conseguenze. Ce n’è una, apparentemente tecnica ma in realtà allo stesso tempo politicamente sensibile, di cui si è tornato a discutere in questi giorni ed è l’idea di assegnare un certo rischio ai titoli di Stato presenti nei bilanci delle banche private europee. Il ragionamento sembra lineare: se uno Stato X ha maggiori possibilità di fallire di uno Stato Y, le banche private che hanno investito in titoli del debito dello Stato X dovranno essere almeno in parte penalizzate quando vengono valutate per la robustezza del loro bilancio. Attualmente invece, secondo le regole internazionali di Basilea 3 sulla vigilanza bancaria, i titoli di stato dei paesi europei sono ancora considerati “risk free” una volta acquistati dalle banche private, e quindi “neutri” alla fine della valutazione della solidità degli istituti.
Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, pur riconoscendo che anche gli Stati europei possono oramai fallire, si è finora mostrato più che scettico su un cambiamento delle regole riguardo la cosiddetta ponderazione dei titoli di stato. In una recente intervista a “Risk Magazine”, il governatore Visco ha così commentato. “Ci sono due temi principali. Uno riguarda la concentrazione e uno riguarda la valutazione. Per esempio, in termini di valutazione, quale importanza dovremmo attribuire ai ratin sul rischio di credito di uno Stato sovrano? Oggi siamo infatti tutti d’accordo sul fatto che questi rating debbano essere considerati cum grano salis. E ancora, cosa dire dei prezzi di mercato stessi? Per esempio nel 2011 i prezzi di mercato erano tali che i tassi d’interesse sui titoli del debito sovrano italiano a lungo termine erano di 5 o sei punti percentuali superiori a quelli tedeschi”, dice ancora Visco riferendosi a quello che sui giornali veniva chiamato più comunemente spread. “La nostra conclusione – sostiene il governatore – è che quel problema fosse legato principalmente a un fattore esterno che non era il rischio sovrano in sé, ma piuttosto il potenziale break-up dell’Eurozona. Allora la domanda a questo punto dovrebbe essere: come è possibile valutare il break-up dell’Eurozona? Inoltre, i dubbi sull’assegnazione di un rischio pari a zero emergono per quei paesi che sono soggetti a un notevole stress. Per questa ragione in Europa stiamo perseguendo una migliore valutazione degli asset detenuti dalle banche. Di conseguenza, prima di attivarci assegnando un rischio ai titoli di stato, ci sono molti parametri da considerare, come per esempio quale ponderazione utilizzare, quali siano i livelli appropriati di concentrazione, i prezzi di mercato, eccetera… Non intendo esprimermi né in un senso né nell’altro a proposito dell’ipotetica scelta di applicare o meno un rischio pari a zero sui titoli sovrani nei bilanci bancari. (…) Ovviamente c’è un problema per i paesi che potrebbero andare incontro a un default. Ma nel 2011, quando lo spread tra bond italiani e Bund tedeschi era a 500 o 600 punti come ho detto prima, calcolammo che sulla base dei fondamentali lo spread sarebbe dovuto essere soltanto un terzo di quello di allora. Questo è un segnale chiaro del fatto che non possiamo usare i prezzi di mercato come un indicatore corretto per definire la diversa ponderazione del rischio, perché i prezzi di mercato tengono conto di diversi livelli di rischio”. Visco poi, in altri interventi pubblici in cui osservava il rafforzamento patrimoniale cui le banche italiane sono state spinte in questi ultimi quattro anni, si chiedeva ancora se questo sia anche solo “il momento migliore” per discutere di un’ulteriore stretta sulla valutazione dei bilanci.
Quello che la Banca d’Italia non dice esplicitamente, ma che gli operatori di mercato riconoscono, è che i nostri istituti di credito e le nostre assicurazioni potrebbero risentire negativamente di una ponderazione dei titoli di stato che, secondo il regolatore, fosse diversa da zero. Già alla fine del 2014, quando Generali fu declassata da Standard&Poor’s nonostante “un profilo di business molto forte e un più che adeguato rischio finanziario”, l’agenzia di rating disse di essere stata costretta a penalizzare il gruppo assicurativo triestino per la sua forte esposizione sui titoli di stato italiani e quindi sul rischio paese. Ma quella era la valutazione di un operatore privato. Se anche il regolatore europeo dovesse assumere questo approccio, a banche e assicurazioni del nostro paese potrebbero per esempio essere chiesti ancora oggi sforzi aggiuntivi di consolidamento.
Se la Banca d’Italia è decisamente contraria a una mutazione dello status quo, a premere invece per inserire il fattore “rischio sovrano” nella valutazione dei bilanci bancari è la Banca centrale tedesca. La Bundesbank, presieduta da Jens Weidmann, si è ripetutamente espressa in pubblico a favore di una simile modifica, di cui oggi certo non risentirebbero le società tedesche che acquistato titoli di debito tripla A della Germania. Weidmann in queste settimane continua a insistere. Al punto da aver convinto il governo di Berlino a porre proprio questa modifica delle regole come conditio sine qua non per il completamento dell’Unione bancaria, cioè la più importante riforma in corso della governance dell’euro. Tecnicismi e politica tornano a intrecciarsi nelle discussioni di Bruxelles.
Categoria Economia