“Volevamo rifugiati, sono arrivati con i loro conflitti”. Un dilemma per l’Europa che non si risolve con i “ricollocamenti”
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Il principio morale dell’accoglienza non potrà essere a lungo predicato e praticato fuori dalla realtà quella dei focolai di guerra alle nostre porte
di Marco Valerio Lo Prete | 10 Ottobre 2015 ore 06:18 Foglio
Roma. “Volevamo braccia, sono arrivati uomini”, è la frase con cui lo scrittore svizzero Max Frisch, alle metà degli anni 70, spiegò la frettolosa chiusura dei programmi di reclutamento di massa dei lavoratori stranieri da parte degli stati europei. Soprattutto i paesi del nord del Vecchio continente, negli anni precedenti, avevano cercato ovunque forza lavoro, ma si trovarono presto a fronteggiare problemi di integrazione variamente declinati. “Volevamo uomini, sono arrivati con i loro conflitti”, potrebbe essere la versione aggiornata di quella considerazione, versione che oggi inizia a circolare in Europa e specialmente in Germania. Berlino, a fine agosto, stupì il mondo sospendendo ogni restrizione all’afflusso di rifugiati in fuga dalla guerra in Siria. Un mese e mezzo dopo, il settimanale liberale Der Spiegel ha appena pubblicato una lunga inchiesta sui “centri per rifugiati alle prese con il fattore ‘violenza’”. Gli autori passano in rassegna “un numero crescente di incidenti violenti nelle strutture d’accoglienza per i rifugiati”.
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Una panoramica inquietante che prende il via da uno scontro nell’aeroporto di Caden, vicino la città di Kassel che si trova al centro del paese, che ha coinvolto 350 richiedenti asilo sui 1.500 ospitati. Il tutto iniziato per una lite tra un ottantenne pachistano e un diciottenne albanese. Ovunque nel paese aumentano le segnalazioni di casi di violenza sessuale negli stessi centri, ha ammesso il responsabile governativo Johannes-Wilhelm Rörig. Solo ad agosto, per citare sempre lo Spiegel, nel Land occidentale della Renania Settentrionale-Vestfalia, la polizia tedesca è stata chiamata a intervenire 926 volte nei centri rifugiati della regione, molto più spesso che nei periodi precedenti. Sono episodi, certo, e occorre pure tenere conto che quest’anno la sola Germania conta di vedere arrivare nel paese circa un milione di rifugiati. Ma qualche problema sistemico si pone, e di recente ne ha parlato il ministro dell’Interno del governo Merkel, Thomas de Maizière: “Posso capire le criticità degli alloggi, ma la violenza è inaccettabile”. Anche se ridurre tutto a una logistica un po’ scadente è riduttivo. Il crescente sovraffollamento aumenta le possibili cause di attrito tra individui e gruppi, ma il clash cultural-religioso in molti di questi incidenti è il fattore scatenante. E mentre la stampa britannica rilancia il caso di un presunto delitto d’onore avvenuto sempre in Germania, con una giovane siriana stuprata due anni fa in patria e raggiunta da alcuni suoi parenti in Europa per fare “giustizia”, uno dei più importanti sindacati di polizia tedeschi ha proposto di suddividere i richiedenti asilo in base alla fede religiosa. I mugugni della maggioranza politica che sostiene Merkel sono solo un affare domestico. Ma adesso che sembra passato il momento dell’euforia fotogenica dei fuggiaschi siriani nelle stazioni europee, la Germania torna a riflettere pubblicamente su modalità e possibilità d’inserimento dei nuovi arrivati nella società democratico-liberale.
Il principio morale dell’accoglienza non potrà essere a lungo predicato e praticato fuori dalla realtà, che è sia quella dei focolai di guerra alle porte dell’Europa, sia quella delle capacità d’integrazione non infinite all’interno dei nostri confini. Il ministro dell’Interno Alfano e il commissario europeo Avramopoulos, che ieri sorridenti salutavano con la mano un aereo con i primi 19 rifugiati eritrei “ricollocati” dall’Italia alla Svezia, sono fermi ai pannicelli caldi.
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