Contraddizioni, rilanci e alleati controversi. Il senso di Putin per l’islam
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Il presidente russo ha presentato una Russia aperta al dialogo, ma intransigente verso ogni terrorismo
di Marta Allevato | 27 Settembre 2015 ore 06:27 Foglio
Mosca. Roman Silatyev tira un sospiro di sollievo: “Finalmente hanno aperto la nuova moschea! Speriamo così di non dover più sentire, almeno due volte l’anno, le lamentele dei musulmani, che chiedono più luoghi di culto a Mosca”. Le parole di questo noto sociologo e storico della religione, esperto di islam e vicino alla chiesa ortodossa, riassumono bene la posizione della maggior parte dei russi, che ha assistito per lo più senza grande entusiasmo alla cerimonia di apertura della moschea-cattedrale, nella zona nord della capitale. Alla presenza dei leader turco e palestinese, Recep Tayyp Erdogan e Abu Mazen, a pochi giorni dall’Assemblea generale dell’Onu e a ridosso del rinnovato sostegno militare a Damasco, il presidente Vladimir Putin ha presentato una Russia aperta al dialogo, ma intransigente verso ogni terrorismo.
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Per la Russia – dove su 143 milioni di abitanti vivono almeno 20 milioni di musulmani, che ha circa 2.400 cittadini arruolati nello Stato islamico in Siria e che è minacciata dall’espandersi del terrorismo alle sue frontiere meridionali – è diventato di primaria importanza promuovere un islam moderato, soprattutto attraverso il sostegno allo sviluppo di una generazione di leader spirituali istruiti in patria. Ma mentre il capo del Cremlino lodava il sacrificio di alcuni imam uccisi dall’estremismo, in prima fila alla cerimonia di mercoledì sedeva Ramzan Kadyrov, il leader della Cecenia, che in questa repubblica del Caucaso russo ha di fatto instaurato la sharia. Davanti a velo forzato per le donne, poligamia e divieto di bevande alcoliche, il Cremlino non batte ciglio in nome di una pace apparente, che l’uomo forte di Grozny garantisce alla regione già teatro di due guerre.
Il dialogo con l’islam buono che propone Putin rischia di essere poco efficace al fine della lotta al terrorismo. Varvara Pakhomenko, esperta dell’International Crisis Group, fa notare la necessità di includere anche i salafiti. In questo senso aveva lavorato il Cremlino di Dmitri Medvedev adottando, tra il 2009 e il 2010, un intero complesso di misure “morbide” in Caucaso, che comprendevano anche una politica di maggiore tolleranza religiosa. “Era nata una flebile fiducia tra islamisti e autorità, spazzata via nel 2012 con la decisione di tornare a usare soltanto la forza, per garantire la sicurezza delle Olimpiadi a Sochi”, spiega l’esperta. C’è poi da superare la divisione interna alla stessa comunità musulmana russa, rappresentata da quattro diverse organizzazioni e altrettanti muftì: il più in vista è Ravil Gainutdin, in prima fila mercoledì con Putin ed Erdogan (il suo Consiglio dei muftì ha sede proprio nel complesso della nuova moschea-cattedrale): aspira a essere il leader della comunità musulmana, ma la sua autorità è messa in discussione da più parti e c’è chi lo accusa di legami col wahabismo saudita. “Più di 20 rappresentanti del Consiglio dei muftì sono stati formalmente accusati di estremismo”, ricorda Silatyev.
Fino a pochi anni fa in rotta col potere centrale, a suo dire colpevole di favorire la chiesa ortodossa e non combattere l’islamofobia, Gainutdin mira a costruire almeno altre 20 moschee nella capitale. La prospettiva, però, ha già incontrato l’ostilità del sindaco Serghei Sobyanin e dell’elettorato: nonostante i proclami del Cremlino su una Russia multiconfessionale, la popolazione è ancora fortemente xenofoba. Ildar Hazrat Alyautdinov, imam alla nuova moschea di Mosca, ha denunciato al New York Times che dietro queste iniziative vi sono attivisti della chiesa ortodossa, i quali “vanno di porta in porta a dire alla gente che le moschee non devono essere costruite”. Altro punto da chiarire è come il Patriarcato di Mosca – alleato del Cremlino nella lotta per affermare la Russia come baluardo dei valori tradizionali – si collochi rispetto al recente protagonismo dei musulmani. Il Patriarca Kirill ha disertato la cerimonia alla grande moschea (più imponente della cattedrale di Cristo Salvatore, simbolo della rinascita cristiana della Russia); in tribuna sedeva il suo “ministro degli Esteri”, il metropolita Hilarion. Il primate ortodosso si è limitato a mandare un messaggio di felicitazioni, in cui invita al proseguimento della “fruttuosa collaborazione per l’affermazione di valori spirituali e morali tradizionali nella società e per il rafforzamento della pace”.
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