Una Yalta per la Siria
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Putin incontra Obama, Erdogan malleabile su Assad. Convergenza diplomatica in attesa di New York
I danni ad Aleppo la scorsa settimana dopo un bombardamento dell'aviazione del governo di Damasco (foto LaPresse)
di Daniele Raineri | 25 Settembre 2015 ore 06:07
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Roma. Ieri sono successe due cose importanti tra i governi che parlano di come riportare la pace in Siria. Il presidente russo Vladimir Putin ha chiesto un incontro con il presidente americano Obama, che avverrà lunedì a New York, dopo un discorso molto atteso del russo alle Nazioni Unite. Tra i due c’è un silenzio durato quasi un anno, da quando l’americano si è convinto – a causa del dossier Ucraina – che parlare con Putin non è utile. Proprio la situazione in Ucraina è stata annunciata come tema principale dell’incontro, ma è difficile che sarà davvero così: il fronte di combattimento fra governo di Kiev e separatisti filorussi gode di un periodo di relativa tranquillità, mentre la Siria occupa la scena diplomatica e di guerra (ma questo sempre), con un viavai dal ritmo velocissimo. Ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdogan appena tornato da un incontro a Mosca con Putin ha detto per la prima volta l’indicibile, almeno per lui: una transizione politica con il presidente siriano Bashar el Assad ancora al suo posto è accettabile. Fino a ieri il turco, che un tempo è stato in rapporti cordiali con Assad, si era attestato su una linea inamovibile: prima il rais siriano se ne va, poi si comincerà a discutere.
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Adesso invece Erdogan accetta di rompere il tabù – e dalla Germania il cancelliere tedesco Angela Merkel rafforza la nuova linea: “Per la pace in Siria si deve parlare anche con Assad”. In un solo giorno due barriere, tra Obama e Putin e tra Erdogan e Assad, sono venute giù – e di certo a questi risultati diplomatici visibili corrisponde un grande lavorìo meno visibile. La lista degli incontri ufficiali e non è significativa. Nelle ultime settimane il generale iraniano delle Guardie rivoluzionarie Qassem Suleimani è volato a Mosca due volte, per incontrare Putin e il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, Nikolai Petrushev, che hanno anche incontrato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il capo dell’intelligence di Assad, il generale Ali Mamlouk, è volato in Arabia Saudita – un viaggio incredibile, per l’inimicizia tra i due governi – e ha anche incontrato il capo dell’intelligence egiziana, il giorno dopo l’incontro di agosto tra il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e Putin. Questa convergenza è stata innescata dalla spedizione militare russa che sta prendendo forma in Siria, nella regione costiera di Latakia, dall’inizio di settembre e che sta entrando in azione in questi giorni.
L’incontro tra americani e russi potrebbe diventare anche un incontro allargato ai turchi, e forse anche agli iraniani e ai sauditi. Se accadesse, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ospiterebbe a margine una conferenza di pace sulla Siria più significativa delle due ufficiali convocate negli anni scorsi a Ginevra. Queste aperture non corrispondono a una ritrovata unità di intenzioni a proposito della Siria, perché tutti arrivano con idee diverse: Washington e Ankara pensano a una sopravvivenza politica di Assad il più breve possibile, i sauditi anche, i russi e gli iraniani la pensano in modo opposto. Ma tutti pensano anche al grande problema, lo Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi, con cui è impossibile negoziare.
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Francesco. Sembra che il problema esodo dall’Africa all’Europa sia dovuto ala guerra in Siria e quindi Isisi.
Le bombe atomiche installate a Berlino, così si legge sui giornali, sembra altra tattica di Obama per costringere Putin alla resa. Ma chi si sta arrendendo è proprio Obama in Siria che non sa più che pesci pigliare e adesso si vedranno aall’ONU. Speriamo bene