Migranti, l'accordo europeo serve a poco
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La redistribuzione è soltanto un pannicello omeopatico per malati gravi
di Sergio Soave | 22 Settembre 2015 ore 20:14 Foglio
Il Consiglio europeo dei ministri degli Interni ha approvato un piano di redistribuzione continentale degli immigrati che Angelino Alfano considera pienamente corrispondente agli interessi italiani perché dovrebbe consentire nei prossimi mesi l’evacuazione dall’Italia di 40 mila immigrati. Se si guarda solo all’effetto immediato, la redistribuzione di 120 mila richiedenti asilo può essere considerata un passo avanti, così come il fatto che l’Unione si faccia carico collegialmente del problema.
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Non mancano però gli aspetti critici, che rendono meno semplice esprimere un giudizio. In primo luogo non si è superato il trattato di Dublino, le misure adottate hanno il carattere dell’intervento eccezionale e quindi non affrontano alla radice un fenomeno destinato a durare anni e ad assumere dimensioni assai superiori a quelle cui si è cercato di mettere una pezza. Il sistema dei controlli, della selezione almeno iniziale tra profughi da separare dai migranti economici, resta nella responsabilità dei paesi di sbarco o di primo ingresso, senza che l’Unione europea si assuma in proprio la responsabilità e i costi di questa delicata operazione, che quindi rischia di essere gestita in modo approssimativo o furbesco. Inoltre, nel merito, la preoccupazione, peraltro poi risultata vana, di mantenere all’interno dell’accordo i variabili umori dell’Ungheria (che pure subisce una specie di invasione incontrollabile) ha determinato ulteriori pasticci. Ha ragione il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker a dire che la cifra di 120 mila rifugiati è “ridicola dato il problema”, anche se, come dice la saggezza popolare, è meglio un uovo oggi che una gallina domani. L’opposizione di molti paesi dell’Est europeo, che condiziona l’azione continentale, è stata superata con un voto a maggioranza, il che da una parte testimonia della decisione con cui gli altri intendono comunque agire, ma fa intendere che in futuro sarà necessario lavorare con pazienza a una difficile ricucitura.
L’Unione europea non riesce ancora a delineare una strategia unitaria e nemmeno a identificare una prospettiva comune di fronte al fenomeno migratorio, ma accanto a questa persistente debolezza strutturale sarebbe ingiusto non riconoscere che, invece di limitarsi a rinviare e accantonare, questa volta ha preso una decisione, per quanto imperfetta e difficile da rendere operativa. Da questo punto di vista si è operata una svolta, si è battuta la sindrome dell’indifferenza e si è scelto di confrontarsi anche aspramente, di dividersi in maggioranza a minoranza pur di arrivare a un esito operativo. Naturalmente nessuno può dire se questo sia il punto di partenza per una piena assunzione di responsabilità o solo una specie di contentino straordinario dato a paesi direttamente investiti dal fenomeno, per poi ritornare alla consueta apatia burocratica. Una certa ambiguità è il carattere proprio dell’Unione, che per il suo profilo composito deve sempre lasciare margini di interpretazione differente alle sue scelte in modo da farle digerire a tutti. Però i tempi procellosi e l’urgenza dei problemi sopportano sempre meno questo metodo “omeopatico” che rischia di far deperire il paziente in attesa che sia terminato il consulto tra i medici.
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