Lo spettacolo en travesti di Tsipras tra lotta di classe e nazionalismo assistenzialista
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Alexis Tsipras è un po’ Chávez (rammentandolo da vivo) e un po’ un primo della classe, ha l’aria dell’imbroglione che piace alle mamme, l’impostore di successo
di Giuliano Ferrara | 05 Luglio 2015 ore 06:00
Alexis Tsipras è un po’ Chávez (rammentandolo da vivo) e un po’ un primo della classe, ha l’aria dell’imbroglione che piace alle mamme, l’impostore di successo. Come tutti i realisti, alla fine è tentato dal gioco d’azzardo. Non so come andrà con il referendum inciucista e mistificatorio ma rivelatorio (Syriza + Alba Dorata + establishment degli economisti premio Nobel + Brunetta, un Nobel in incubazione da tempo + Grillo + Vendola + Spinelli per la parte italiana). Comunque vada, e se vincesse il “sì” sarebbe la nemesi, la vedo grigia per i greci. Ma forse sbaglio. In cinque anni, dopo un po’ di sacrifici da svalutazione, cancellato il debito e con la dracma svalutata, sotto tutela geopolitica degli americani e col ricatto dell’orso russo alle porte ricominceranno a imbrogliare le carte con buoni risultati. Glielo auguro, in fondo. Ho la testa di Wolfgang Schäuble e il cuore di Manolis Glezos.
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Tsipras ha messo su una specie di super centro sociale, protetto da una parte della vecchia guardia comunista, mai così cinica, e da alcuni genialoidi postkeynesiani odiatori dell’austerità e dell’euro, rappresentati in loco dal figo Varoufakis. Approfittando del fallimento della ditta nazionale, che i liquidatori del Nord Europa e del Fondo monetario stavano cercando di contenere nei suoi effetti pompando ancora quattrini e invitando a mettersi a lavorare per paghicchiare qualche debituccio (ma lavorare non è un verbo perfettamente declinabile in greco moderno, troppa bellezza e ricchezza ereditaria inducono a osservare e transigere), Alexis ha lestamente travestito da scenario di lotta di classe internazionale la commedia degli equivoci nazionalisti e la lagna assistenzialista della crisi umanitaria. Non che non ci sia sofferenza sociale, ma la cura è l’impegno nazionale e le tasse pagate, non altri aiuti e pasti gratis a spese dell’eurozona e del valoroso popolo tedesco.
Solo in un teatrino mitico come quello di Atene, e parlo dell’anarchismo chic di Exarchia e degli spiedini fumanti a pochi passi dai lussi dell’hotel Grande Bretagne, non dell’Accademia platonica, del Portico o del Partenone, ovvio, solo tra le metamorfosi e i litigiosi dei dell’Olimpo e del mare, fatte le debite proporzioni, era possibile un simile spettacolo en travesti. Gli armatori stanno con Alexis, gli euro li hanno da tempo a Ginevra e aspettano vantaggi dalla dracmetta esentasse. Ma i pensionati votano “sì”, al contrario dei giovani viziati, perché nell’orgia dei populismi che si ergono contro il ricatto dei ricchi a loro tocca la parte tragica di chi deve piangere la storica mancanza di una classe dirigente responsabile, ora evidente nelle file ai bancomat.
Avidi di futuro, come tutti i demagoghi, anche quando non sappiano di esserlo, i syrizani hanno compromesso un mediocre presente apparecchiato alla meno peggio dal serio Samaras e dal falso timido Dijsselbloem, che avevano avviato il risanamento con le cattive maniere, e hanno detto, come il vecchio e onorato Pietro Ingrao, di volere la luna. Poeti da bar di tendenza, hanno infilato il loro popolo nella trappola delle cattive metafore da comizio, e hanno attribuito uno spirito predatore e grifagno alla signora Merkel e al suo disprezzabile popolo di risparmiatori, di consumatori, di produttori. Marxismo immaginario in un paese immaginario. Bello da sognare, duro da vivere. Ci vorrebbe una satira di Orazio per descrivere l’avidità, la bulimia ideologica dei giovani sexy della Grecia moderna alle prese con la parsimonia e la generosa grettezza dei Finanzminister dell’eurogruppo.
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