Gran discorso di Cameron ai musulmani: “Perché non resistete all’estremismo?”
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Per la prima volta un capo di governo dice con chiarezza che le comunità sono troppo indulgenti con le idee pericolose
di Daniele Raineri | 20 Giugno 2015 ore 06:15 Foglio
Ieri il primo ministro inglese, David Cameron, ha rivolto un discorso molto diretto e duro alla comunità musulmana in Gran Bretagna e l’ha accusata di non fare abbastanza per resistere ai reclutatori dello Stato islamico e al fascino che esercitano sui giovani inglesi. Il problema in generale, ha detto Cameron, è l’ideologia islamista estrema e i suoi dettami che ormai conosciamo: l’occidente è cattivo e la democrazia sbagliata, le donne sono inferiori e l’omosessualità è un male, la legge religiosa prevale sulla legge dello stato e il Califfato prevale sullo stato nazione, e la violenza è giustificata – anzi incoraggiata e richiesta – per vincere. Il problema in particolare, però, è questo: come arrivano le persone nel Regno Unito a pensarla così? si chiede Cameron. E risponde: arrivano a pensarla così perché ci sono parti della comunità musulmana inglese che praticano quello che lui definisce il “condoning quietly” delle idee estremiste dello Stato islamico. Si girano dall’altra parte, non si oppongono, sempre con discrezione e senza arrivare a invocare la violenza, però accettando molti degli stessi pregiudizi. Questa ipocrisia spalanca le porte alla narrazione del mondo che vogliono gli islamisti e diffonde un messaggio fra i musulmani: “pure voi ne fate parte”.
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Cameron ha parlato in Slovacchia, durante una conferenza internazionale sulla sicurezza (“lo Stato islamico è una delle minacce più gravi che il mondo abbia mai affrontato” – ha detto – e le sue dimensioni sono “formidabili”) e il suo discorso cade in un momento simbolico, all’inizio del mese sacro di Ramadan (ieri era il secondo giorno). Di solito sono i giorni in cui tradizionalmente i politici provano la carta della simpatia verso la comunità islamica (almeno con un Ramadan kareem, buon Ramadan!). Ma il discorso arriva anche in una settimana di preoccupazione più alta del solito per gli episodi di radicalizzazione di giovani inglesi – e “il solito” è già alto. Un diciassettenne di Dewsbury, Talha Asmal, si è fatto saltare in aria cinque giorni fa con un camion bomba durante un attacco suicida nella battaglia per il controllo di Baiji, la più grande raffineria dell’Iraq, dove le forze del governo e lo Stato islamico si combattono da mesi. Lunedì si è saputo che tre sorelle di Bedford sono partite verso la Siria portando i loro nove bambini, tra i tre e i quindici anni di età.
Secondo i dati messi assieme negli ultimi mesi, almeno seicento inglesi sono partiti volontari verso il jihad in Siria e in Iraq a partire dal 2012. Tra loro ci sono anche alcuni casi che spiccano sopra la media per pericolosità. C’è il giovane kuwaitiano Mohamed Emwazi, cresciuto a Londra fino agli anni dell’università e poi diventato in Siria il capo dei cosiddetti “Beatles”, un gruppo di sequestratori appartenenti allo Stato islamico. Emwazi è il protagonista dei video con le uccisioni di ostaggi occidentali. Nell’ultimo anno la polizia inglese ha arrestato quasi una persona al giorno con l’accusa di terrorismo – e anche se non tutte le accuse si rivelano solide, è comunque un numero che la polizia definisce “molto difficile da gestire”.
Cameron è il primo leader occidentale a parlare direttamente di un problema esistente con “parti della comunità islamica” troppo remissive con l’estremismo, e quindi a sfidare il rischio (alto) di un’accusa di generalizzazione su base religiosa. Sa, tuttavia, che troverà anche consensi: “I musulmani inglesi aiutano i jihadisti”, ha titolato ieri a tutta pagina un Daily Mail trionfante, per sintetizzare il discorso del primo ministro – e il Telegraph ha pubblicato un editoriale (oltre all’apertura della prima pagina) in cui spiega con tono compassato di essere molto d’accordo con Cameron. E’ probabile che la comunità islamica inglese reagirà con proteste.
In Francia, dove vivono cinque milioni di musulmani e dove il problema è simile – un numero alto di volontari partiti per il jihad – il governo preferisce la linea opposta: tenere ben distinte la comunità islamica e lo Stato islamico ed evitare con cura qualsiasi accusa di confusione fra islam e ideologia islamista. “Dobbiamo dire che tutto questo non è islam”, ha detto lunedì il premier Manuel Valls, riferendosi “a chi predica l’odio, all’antisemitismo, a chi si autonomina imam e promuove la violenza e l’estremismo nei nostri quartieri e nelle nostre prigioni”.
La linea inglese e la linea francese sono molto diverse: la prima pone un problema alla comunità musulmana (“non state facendo resistenza ai reclutatori, parlate degli stessi argomenti”), la seconda tenta una separazione (“siete due cose diverse, lo vediamo, non diventate una cosa sola”) per evitare la trappola del risentimento religioso: se li sospettiamo tutti di essere terroristi e li trattiamo tutti come sospetti, si caleranno nella parte, faranno meno resistenza ai cattivi maestri. Anche Londra ha tenuto questa seconda linea per anni, ora è chiaro che non la considera più efficace.
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