Alberta, stai serena. Quel ricco (e conservatore) stato del Canada in cui il nuovo prezzo del petrolio ha causato una rivoluzione
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Paese nordamericano che è stata ribattezzata “il Texas del Canada”: per la sua cultura di marca prevalentemente conservatrice e mercatista, e per l’abbondanza di petrolio e materie prime che la caratterizzano.
Sabbie bituminose nell'Alberta
di Marco Valerio Lo Prete | 08 Maggio 2015 Foglio
Roma. Un governo in carica da relativamente poco tempo, con un leader che appartiene a una tradizione politica gloriosa, e che ha a disposizione un tesoretto fiscale – anzi un tesorone – per spingere la crescita. Poi però, all’improvviso, ecco che muta uno dei cosiddetti “fattori esterni” che influenzano l’economia (nello specifico: il prezzo del petrolio inizia a scendere a rotta di collo). Apriti cielo: il tesorone fiscale diventa un tesoretto e poi presto scompare; il suddetto partito dalla tradizione gloriosa si scinde; il leader in sella ricorre all’extrema ratio delle elezioni anticipate per riaffermare il proprio potere ma viene battuto alle urne. Non si tratta di una distopia fantapolitica immaginata da uno dei tanti avversari di Matteo Renzi, ma della rivoluzione politica appena consumatasi nello stato canadese dell’Alberta. Cioè in quella provincia occidentale del paese nordamericano che è stata ribattezzata “il Texas del Canada”: per la sua cultura di marca prevalentemente conservatrice e mercatista, e per l’abbondanza di petrolio e materie prime che la caratterizzano. Nell’estate 2014, il prezzo del petrolio però è iniziato a scendere; nemmeno 12 mesi dopo, i conservatori dell’Alberta hanno dovuto lasciare il potere, dopo 43 anni di dominio incontrastato.
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Jim Prentice, dal settembre 2014 premier del ricco stato canadese dell’Alberta, sarà dunque ricordato come colui che ha guidato i Conservatori progressisti (sic) alla sconfitta elettorale dopo decenni di dominio incontrastato, lasciando inaspettatamente il campo alla sinistra radunata nel New democratic party. Gli analisti, commentando la notizia sul Financial Times, osservano innanzitutto che quando Prentice conquistò la leadership del partito, il petrolio era a 93 dollari al barile; oggi invece è appena sotto i 60 dollari al barile, e a primavera era sceso pure sotto i 50 dollari. Cosa c’entri con la fine politica di Prentice e della sua Democrazia cristiana (ultraliberista) è presto detto. In Alberta viene estratto il 78 per cento di tutto il petrolio del Canada, paese che è tra i cinque maggiori produttori mondiali di energia assieme a Stati Uniti, Russia, Cina e Arabia Saudita. E’ soprattutto grazie a queste immense risorse naturali che ciascuno dei 4 milioni di abitanti dell’Alberta ha un reddito medio annuo di 61 mila euro, a fronte dei 39 mila euro del canadese medio e dei quasi 27 mila euro dell’italiano medio.
Non solo: in Alberta ci sono imposte statali sul reddito ridicolmente basse, Iva statale inesistente e welfare piuttosto generoso. Tuttavia, non appena negli scorsi mesi gli introiti dalla vendita delle materie prime sono crollati (assieme ai prezzi mondiali), anche il gettito fiscale del governo è collassato. A quel punto i conservatori si sono divisi tra i pro austerity e i fautori di nuove tasse, mentre la sinistra ha promesso di rivalersi sui petrolieri e non sulla classe media. Scenario d’un tratto caotico che ha portato a una rivoluzione. Gli analisti mondiali da mesi si attendevano scossoni negli stati del Golfo, ma ovviamente la rottamazione petrolifera inizia lì dove il diritto di voto c’è.