Assad e l'Onu. Storia di un fallimento clamoroso
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I dati del report sono senz’appello, come lo è il titolo “Failing Syria”: dimostrano il disinteresse internazionale per la crisi siriana e l’inefficacia delle Nazioni Unite nel far valere i suoi obiettivi umanitari.
di Paola Peduzzi | 12 Marzo 2015 ore 19:05
Roma. Il 2014 è stato un anno tragico per la Siria, il peggiore di questi quattro anni di guerra, e le risoluzioni dell’Onu approvate negli ultimi dodici mesi per garantire aiuti umanitari non sono state rispettate, anzi, sono state ignorate. Non è il commento di qualche falco interventista che tanto avrebbe voluto bombardare il regime di Damasco, ma il risultato di un’inchiesta condotta da 21 agenzie umanitarie internazionali che sono andate a vedere se i buoni propositi decisi al Consiglio di sicurezza dell’Onu avessero avuto qualche seguito.
Le risoluzioni approvate nel corso del 2014 sono tre e tutte imponevano, con termini diversi, al regime di Damasco di far passare i convogli degli aiuti umanitari in modo che raggiungessero le aree in mano ai ribelli (che erano sotto i bombardamenti dell’aviazione di Bashar el Assad). Damasco aveva acconsentito ma poi di fatto aveva ostacolato l’accesso – o si muore per una bomba o si muore di fame nelle aree colpite dal regime – al punto che l’Onu aveva chiesto di poter operare senza dover ottenere il permesso a Damasco, ma anche questo obiettivo non è stato raggiunto.
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I dati del report sono senz’appello, come lo è il titolo “Failing Syria”: dimostrano il disinteresse internazionale per la crisi siriana e l’inefficacia delle Nazioni Unite nel far valere i suoi obiettivi umanitari. Come si chiedevano molti mercoledì su Twitter, dopo la pubblicazione del documento: “Are we #failingSyria?” e in quel “we”, noi, ci siamo dentro tutti. Ci sono stati 220 mila morti dal 2011 a oggi, 76 mila solo nel 2014. Quattro milioni e ottocentomila civili siriani vivono in aree che non sono raggiungibili, vuoi perché sotto i bombardamenti di Assad vuoi perché conquistate dallo Stato islamico: sono un milione in più rispetto al 2013. Sette milioni e seicentomila persone hanno dovuto lasciare le loro case, i “fortunati” vivono nei campi profughi ai confini della Siria, gli altri sono stati semplicemente dislocati. Dodici milioni e duecentomila persone hanno bisogno di aiuti per sopravvivere: nel 2013 erano 9,3 milioni. I siriani che hanno avuto accesso agli aiuti si sono più che dimezzati in un anno (e c’erano risoluzioni onusiane fatte esclusivamente per evitarlo): da 2,9 milioni sono scesi a 1,1. Ci sono cinque milioni e seicentomila bambini che hanno bisogno di aiuti, il 31 per cento in più rispetto al 2013 e un milione e seicentomila ragazzini che non vanno nemmeno più a scuola, 500 mila in più rispetto al 2013. Nel 2013, la risposta umanitaria alla crisi ha permesso di raccogliere il 71 per cento dei fondi necessari: nel 2014 la percentuale di solidarietà è scesa al 57 per cento. Il collettivo With Syria che raccoglie 130 organizzazioni umanitarie ha pubblicato immagini satellitari delle notti siriane degli ultimi sei mesi: non si vedono le luci, la Siria è piombata nell’oscurità. Il 97 e il 96 per cento delle luci notturne di Aleppo e Idlib sono scomparsi: qui bombarda il regime di Assad, con le sue “barrel bomb” di cui lui nega sfrontato l’esistenza. A Homs e Hama, altri bersagli delle bombe assadiste, l’oscurità regna all’87 per cento, e a Deraa, da cui partì l’insurrezione popolare contro il regime quattro anni fa, regna al 74 per cento. Il 96 per cento delle luci di Raqqa, base strategica in Siria dello Stato islamico, s’è spento. Secondo un report separato pubblicato in settimana da due agenzie che lavorano assieme alle Nazioni Unite, la popolazione siriana si è ridotta del 15 per cento, la speranza di vita è scesa di 24 anni, dai 79 del 2011 ai 55 di oggi, il prodotto interno lordo si è contratto di 120 miliardi di dollari e quattro su cinque siriani vivono sotto la soglia di povertà nazionale.
Un portavoce dell’Onu, Stéphane Dujarric, ha detto alla Bbc che le singole nazioni hanno messo i propri interessi davanti alle esigenze umanitarie della Siria: “Abbiamo riscontrato una mancanza di volontà politica a unirsi per fermare i combattimenti”. L’Onu conta ora su un accordo diplomatico per pacificare Aleppo, ma la città ormai è spenta. A splendere c’è solo Assad, il primo responsabile del collasso siriano considerato oggi, in questa storia crudele e sfacciata, un elemento di stabilità nella lotta al terrorismo islamista.
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