SfiduciaLa crisi francese smentisce molte ossessioni italiane
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Il (semi)presidenzialismo, il doppio turno, il macronismo, il leaderismo: è ora di fare un onesto bilancio delle nostre illusioni,
Francesco Cundari 5.12. 2024 linkiesta.it lettura2’
scrive Francesco Cundari nella newsletter “La Linea”. Arriva tutte le mattine dal lunedì al venerdì più o meno alle sette
Il governo di Michel Barnier, governo di centrodestra voluto da Emmanuel Macron all’indomani di elezioni anticipate da lui convocate per fermare l’avanzata di Marine Le Pen, eppure appeso ai voti di Marine Le Pen, è stato sfiduciato ieri da una larga maggioranza parlamentare, in cui sono confluiti i voti dell’estrema destra e quelli dell’eterogeneo Fronte popolare delle sinistre, che peraltro sarebbero stati i vincitori delle ultime elezioni.
Vista dall’Italia, cioè attraverso categorie, fissazioni e feticci del nostro dibattito pubblico, la crisi francese è dunque la crisi di quasi tutto: del semipresidenzialismo che abbiamo a lungo inseguito, a destra e a sinistra; del doppio turno, che da trent’anni, soprattutto a sinistra ma non solo, ci viene presentato come la legge elettorale capace di dare insieme piena rappresentatività e assoluta certezza di governabilità; del macronismo, inteso a sua volta in vari modi che richiederebbero una troppo lunga divagazione (per dirne solo una, che avete certamente dimenticato: agli inizi dell’avventura politica del presidente francese era Matteo Renzi il modello, ed Emmanuel Macron l’epigono); del leaderismo, inteso come la diffusa convinzione, anche tra osservatori e studiosi, che la forza di una leadership, tanto più se accompagnata da adeguate prerogative istituzionali, possa essere la soluzione a tutti i massimi problemi della politica e della vita pubblica in generale.
L’esito dell’ultima audace dimostrazione di leadership macroniana, le elezioni anticipate che hanno consegnato la Francia a un parlamento senza maggioranza, egemonizzato dai contrapposti (ma neanche tanto) populisti di destra e di sinistra, dimostra che non è così. Non è così, cioè non sta neanche lontanamente nei termini in cui ce la raccontiamo da oltre trent’anni, nessuna delle questioni summenzionate, e che ancora costituiscono il novantanove per cento dell’armamentario retorico e ideologico alla base dell’attuale, ennesimo, insensato progetto di riforma istituzionale in chiave presidenziale-maggioritaria.
Da oltre trent’anni un esercito di studiosi, giornalisti e politici di vario orientamento, infatti, inventa o legittima le peggiori porcherie elettorali e istituzionali («porcata», come noto, è termine tecnico, utilizzato in un momento di rara sincerità da uno di loro) con l’argomento che solo in Italia la sera del voto non si sa chi ha vinto e governerà per i successivi cinque anni. E in base a questo presupposto, falso e pericoloso, restiamo inchiodati a questa eterna giostra di riforme che non riformano niente, ma scassano sempre qualcosa in più (vedi alla voce federalismo, per citare un altro tema ovviamente ancora e sempre all’ordine del giorno). Sarebbe tempo di fare un onesto bilancio delle nostre trentennali illusioni.