Frenare la carneficina. Mister Kellogg, il proconsole di Trump che non ama Putin: sarà lui a decidere quanta guerra prima della pace in Ucraina

perché è già un protagonista: sarà il messaggero con libertà di trattare sullo spettrale teatro dell’Ucraina invasa dalla Russia

Paolo Guzzanti 29 Novembre 2024 alle 10:39 lettura4’

Massiccio, brizzolato, generale a due stelle in pensione, impariamo il suo nome perché è già un protagonista: sarà il messaggero con libertà di trattare sullo spettrale teatro dell’Ucraina invasa dalla Russia Si chiama Kellogg, Keith Kellogg, ed è una delle più importanti scelte del Presidente non ancora in carica Donald Trump. Sarà lui a decidere fra guerra e pace, o meglio quanta guerra prima della pace. Non è un ammiratore di Putin. È un militare che ha combattuto sul campo la guerra del Vietnam e poi in Iraq. Il suo nome è risuonato come un colpo di martello sulla famosa campana di Philadelphia. All’inizio il suo nome ha gettato nel panico i generali ucraini che lo hanno immaginato come l’esecutore dei sanguinari capricci di Vladimir Putin. Poi si sono rilassati leggendo il curriculum di Kellogg. Sì, è stato sempre un fedelissimo di Trump e infatti – ecco il colpetto di scena – dice di essere stato accanto a Trump quando fece l’agghiacciante dichiarazione in cui disse che avrebbe concesso a Putin mano libera su tutti (“faccia quel c… che gli pare”) in particolare sui Paesi europei che non pagano per la loro sicurezza, viziati dalla tradizione storica secondo cui, male che vada, alla fine arrivano gli americani con il Settimo cavalleggeri a seppellire i loro morti.

Oggi i conti riguardano altri milioni di non americani di morti, mutilati e impazziti. E sono i soldati ucraini, la generazione tra i venti e i quarant’anni che ogni giorno va a morire e ad uccidere gli invasori e il cielo nereggia dei nuovi avvoltoi che sono i droni. Putin si sta giocando l’ultimo lembo di reputazione perché finora ha mandato al massacro i contrattisti del battaglione Wagner, poi i mercenari ceceni urlanti e in fuga, quindi legioni di detenuti, tagliagole e rapinatori mandati a morire senza addestramento. Infine, Putin è andato in Nord Corea per farsi prestare un corpo di spedizione di circa diecimila soldati e lo sta rovesciando in Russia, sull’oblast di Kursk, che gli spavaldi veterani di Kiev hanno conquistato e fortificato dal 6 agosto, catturando migliaia di adolescenti russi terrorizzati e appena usciti di scuola, subito scambiati con veterani. C’è davvero qualcosa di onorevole, o epico in questa parodia dell’Armata Rossa che primeggia in massacri, stupri, bombardamenti di ospedali pediatrici oncologici e che in queste ore pratica l’infame crudeltà di far crepare nel gelo un milione di malati, bambini, donne incinte e vecchi, senza riscaldamento luce e acqua? Nessuna di queste malvagità è stata inflitta dagli ucraini alla popolazione russa dell’oblast di Kursk che occupano da agosto senza speranza di tornare vivi a casa.

Quando Trump pronunciò quella tremenda frase, il mondo occidentale e specialmente l’Europa pensò a una sentenza di morte per le relazioni euroamericane e un filo di ghiaccio sostituì la nostra spina dorsale. Ma ecco che Mr. Kellogg emerge dalla scena per ricordare il “Documento di strategia” che scrisse proprio lui in piena campagna pro-Trump, con Fred Fleitz pubblicata sul Think Tank trumpiano che si chiama ’“America First Policy Institute”. Lì si legge che “Gli Stati Uniti continueranno ad armare l’Ucraina e a rafforzare le sue difese per impedire alla Russia di avanzare ulteriormente e di non tentare nuovi attacchi dopo aver raggiunto il cessate il fuoco”. L’uomo che ha scritto queste parole è stato ora incaricato di fare da emissario e plenipotenziario sull’Ucraina invasa.

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E allora? Un totale capovolgimento di posizione? Non proprio. Agli ucraini, se accettassero, verrebbe garantita sì, l’indipendenza, ma non la sovranità: dovranno rinunciare alla Nato per molti anni, ma godendo vantaggi simili a quelli goduti dai membri dell’Alleanza perché gli Usa sarebbero garanti armati e pronti a menare le mani al primo sgarro russo. Mancano ancora pezzi importanti di questa linea americana gestita da Mister Kellogg. Ad esempio, non si dice nulla sull’Europa. Quella che Putin con impunita arroganza chiama “il colpo di Stato del 2014” fu la rivolta popolare passata alla Storia come Euromadan: i giovani ucraini che per mesi presidiarono piazza Maidan a Kiev e poi tutte le piazze del Paese, avvolti nella bandiera azzurra dell’Unione Europea che non aveva mai ricevuto il battesimo del sangue dei patrioti europei.

Quelle dimostrazioni in cui gli adolescenti furano massacrati dalla polizia segreta filorussa del presidente fantoccio Jankovic che fuggì in elicottero a Mosca. Quella sollevazione scoppiò quando il burattino russo annunciò in Parlamento che l’Ucraina ritirava la richiesta di entrare nell’Unione europea, per entrare nella finta Europa dell’Est guidata dalla Russia. Quello fu il tentativo di colpo di Stato e già in quell’anno Putin aveva rapinato a mano armata la penisola di Crimea e fatto affluire truppe senza mostrine (“i buffi omini verdi”) che portavano artiglieria nel Donbass per fare la guerra a Kiev.

Di qui la domanda: che cosa pensa Mister Kellogg dell’aspirazione ucraina di entrare nell’Unione europea? Ancora non lo sappiamo. Sappiamo che nel documento strategico di cui Kellogg è il co-autore, si offrirebbe alla Russia una moratoria e una proposta di lavoro comune nella sicurezza, una sorta di versione minimale del sogno archiviato di una Russia in parte integrata nella Nato.

Sembra di capire che agli ucraini viene fatta trapelare l’immagine della pace provvisoria e armata, senza alcuna interruzione di forniture delle armi e la garanzia di confini più stretti, ma sigillati con la garanzia americana. Dunque, se questa fosse la linea di Trump, l’Ucraina diventerebbe un Paese occidentale armato, fuori della Nato e blindato dagli Stati Uniti, che pretendono di avere un garante con poteri proconsolari, un generale veterano di trent’anni di guerra, trumpiano fino al midollo. Questo è solo l’inizio e Putin non sembra affatto entusiasta della politica di Trump e compie l’azione più disperata e sanguinaria: ordina l’assalto a ondate, muoia chi deve morire, ne abbiamo ancora milioni, per lavare l’onta dell’occupazione subita a Kursk e strappare un’altra fascia di quaranta chilometri nel Donbass.

Sono segni di febbre altissima, accompagnati dall’escalation delle minacce nucleari in cui le singole bombe sono già etichettate con l’indirizzo di recapito su città civili e non su obiettivi del terrore militari. È l’unico indizio che abbia di ricezione da parte di Putin: se dovrà sedersi alla trattativa, ha cinquanta giorni per scatenare e minacciare ogni inferno, esercitare il terrore, devastare città ucraine e non risparmiare neppure i cittadini russi in fuga da Kursk, per mesi sfamati e riparati dagli “invasori” ucraini. Intanto il rublo rolla. Tutto ciò è ancora il primo paesaggio immaginario suggerito dal generale che Donald Trump ha scelto come proconsole delle terre devastate dalla Russia. L’atteggiamento di Trump ricorda quello del Presidente Teddy Roosevelt, zio repubblicano del più famoso Franklin, che instillò nel nipote un’unica direttiva morale: “Parla sempre a bassa voce, ma impugna una mazza nodosa”.

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