“L’IRAN NON VUOLE GUERRE GLOBALI E STA VEDENDO CROLLARE IL PROPRIO SISTEMA CON HAMAS, HEZBOLLAH E HOUTHI SOTTO BOMBARDAMENTO
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– GIAMPIERO MASSOLO PARLA DELLE CONTROINDICAZIONI PER NETANYAHU DI UN EVENTUALE ATTACCO A TEHERAN: “C’È LA CONSAPEVOLEZZA CHE SIA INEFFICACE
7.10. 2024 17:03 dagospia.com lettura4’
1- COLPIRE LE CENTRALI NUCLEARI IRANIANE E C’È IL RISCHIO DEL RITORNO DELTERRORISMO JIHADISTA” – IL LIBRO SULLE RAGIONI DEL CONFLITTO ISRAELE-PALESTINA - C’È SPAZIO PER DUE STATI, DI CUI UNO PALESTINESE? L’IDEA DI UNA FORMA DI CONVIVENZA COSTITUZIONALE IN CUI…
Francesca Constantini per milanofinanza.it - Estratti
1-Con i raid israeliani a Beirut e l’attacco missilistico dell’Iran, la situazione in Medio Oriente si fa sempre più critica. Netanyahu valuta una risposta mirata, mentre l’Iran cerca di ristabilire la deterrenza. L’opinione di Giampiero Massolo, diplomatico di lungo corso, ex presidente di Ispi e attuale numero uno di Mundys
Mentre i raid israeliani sono arrivati nel cuore di Beirut, in Libano, il governo del premier Benjamin Netanyahu sta valutando attentamente come rispondere all’attacco dell’Iran contro il suo Paese. L’ipotesi più probabile è che la reazione di Tel Aviv sia «localizzata su obiettivi militari e infrastrutture senza colpire, per ora, la parte nucleare», dice il presidente di Mundys, Giampiero Massolo. Da entrambe le parti ci possiamo aspettare una «assunzione calcolata del rischio» di ulteriori escalation.
Le controindicazioni per Israele
Nonostante molti nell’establishment dicano a Netanyahu che «questo è il momento di andare giù duri, ci sono alcune controindicazioni», ha spiegato l’ex ambasciatore ai microfoni di Class Cnbc, sottolineando come gli americani non si possano «permettere una guerra totale e come gli arabi moderati gradiscano «il lavoro sporco fatto da Israele con gli sciiti» ma non vogliano «essere messi in difficoltà con le loro opinioni pubbliche». C’è poi la consapevolezza che sia inefficace colpire delle centrali nucleari iraniane e c’è, infine, il rischio del ritorno del terrorismo jihadista».
L’Iran non vuole una guerra globale
Dall’altro lato, «ora l’Iran non ha molte possibilità di ristabilire un ragionevole grado di deterrenza di fronte a Israele, che ha mostrato una netta superiorità tecnologica, di intelligence e di armamento. Teheran è indebolita e sta vedendo crollare il proprio sistema di proxy, con Hamas, Hezbollah e Houthi sotto bombardamento», ha proseguito Massolo, spiegando che in questo momento l’Iran si trova «in prima linea nei confronti degli israeliani, cosa che aveva finora accuratamente evitato. A Teheran non vogliono una guerra globale, da cui hanno la sensazione di poter uscire con un regime imploso e sconfitto. Quindi l’Iran cerca la possibilità di ristabilire deterrenza».
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Le reazioni contenute dei mercati
Guardando invece all’impatto dell’escalation sui mercati, «credo che negli ultimi anni abbiano imparato a scontare l’instabilità e, infatti, come vediamo da queste guerre in atto non ci sono grandi turbative», ha detto il presidente di Mundys, sottolineando però che tra i settori più impattati c’è quello energetico, mentre «potranno essere sotto pressione anche i comparti delle commodity e dei grandi trasporti con container, per via di quello che gli Houthi possono fare per bloccare la rotta di Suez e più recentemente anche quella del Capo di Buona Speranza».
Le tensioni non favoriscono la corsa di Kamala Harris
Spostando lo sguardo oltre atlantico, e in particolare negli Stati Uniti, dove manca un mese alle votazioni per le presidenziali americane che per la prima volta si svolgono in un contesto di una guerra aperta in Medioriente oltre che una partita in corso in Ucraina. Secondo Massolo, «l’elezione statunitense sarà decisa da una manciata di voti nei cosiddetti ‘swing states’», considerando l’alto consolidamento dei due elettorati, quello democratico e quello repubblicano.
«È su questo - il conquistare la fascia di elettori non ancora convinti - che stanno lavorando sia Harris sia Trump. Il prolungarsi della guerra in Medio Oriente, da un lato, non favorisce Kamala Harris, perché rischia di perdere i voti dei giovani democratici che accusano Joe Biden di essere troppo conciliante nei confronti di Netanyahu. Dall’altro lato se Harris frena troppo Netanyahu, poi se ne avvantaggia Trump, che sta giocando la sua partita di filo-israeliano di ferro».
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2-LE RAGIONI DI UN CONFLITTO
Stefano Mannoni per milanofinanza.it - Estratti
Vi è un tempo per manifestare e uno per commemorare. E il 7 ottobre 2024 è il tempo di commemorare, senza polemiche, e con un’accorata preghiera, tutti coloro che sono stati trucidati un anno fa, in un massacro che ha ecceduto di gran lunga per bestialità i peggiori pogrom della storia. Un sangue che, come era prevedibile e anzi voluto dai perpetratori di Hamas, ha portato altro sangue, a fiumi, con i 40mila morti a Gaza e gli innumerevoli in Cisgiordania e Libano.
(…) Si è trattato certamente di terrorismo della natura più efferata ma che, purtroppo, si iscrive in più di cento anni di storia della Palestina che di violenza ne ha conosciuta moltissima.
Ce lo spiega bene uno storico israeliano autorevole, Ilan Pappé, decisamente fuori dal coro, nella misura in cui non scrive affatto su impulso dell’appartenenza etnica. Il suo libro? «Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina, dal 1882 a oggi» ( Fazi).
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giampiero massolo foto mezzelani gmt04
giampiero massolo foto mezzelani gmt04
Ma allora c’è spazio per due Stati, di cui uno palestinese? Pappé mostra di non crederci, poiché la sua narrazione vede succedersi ministri laburisti e conservatori, tutti tacitamente convinti della massima: «una terra senza popolo, per un popolo senza terra». Ma vi è in fondo un’identità palestinese su cui innalzare la bandiera dell’autodeterminazione? Sembra proprio di sì, stando alla serrata ricostruzione, nonostante i pervicaci tentativi di soffocarla.
E allora? Se una critica si può muovere a Pappé è che la sua storia è disperante, atroce nella sua inesorabile logica di sopraffazione e oppressione del forte sul debole. Eppure un filo di speranza deve pure sussistere. È lecito secondo noi provare a immaginare una forma di convivenza costituzionale dove la Palestina non assurga a Stato, ma dove i palestinesi godano di quei pieni diritti di cittadinanza nonché delle libertà e della prosperità che sono state loro fino ad oggi negate. Una speranza, solo questo, appunto.