800 casi in sei mesi. Iran, avvelenate studentesse senza velo: dagli attacchi chimici all’inalazione di gas, l’inferno a scuola

i guardiani della rivoluzione islamica hanno isolato l’intero edificio, impedendo ai genitori e ai residenti di avvicinarsi all’area colpita.

Mariano Giustino — 10 Novembre 2023 open.online 2'

Ancora casi di studentesse avvelenate nelle scuole in Iran. È allarme sanitario nella provincia di Zanjan dove, sabato 4 novembre, 67 studentesse di un liceo artistico femminile sono state portate in ospedale a causa dell’inalazione di un gas che ha causato asfissia e altri sintomi di avvelenamento. Non si tratta di un episodio isolato. Mercoledì, 1° novembre, una scuola elementare femminile nel villaggio di Rasoulabad Baghdanieh, della contea di Iranshahr, nella provincia sudorientale del Sistan-Belucistan, è stata vittima di un analogo attacco chimico. Il terribile incidente ha provocato intossicazioni da inalazione di gas tossico di diverse studentesse che sono state trasportate con le ambulanze nei vicini centri medici.

Subito dopo l’attacco chimico, i guardiani della rivoluzione islamica hanno isolato l’intero edificio, impedendo ai genitori e ai residenti di avvicinarsi all’area colpita.

Un identico scenario vi è stato in alcune scuole ad Ahvaz, nella capitale del Khuzestan, dove si sono registrati tre casi di avvelenamento di studentesse in una sola settimana. Le ragazze ospedalizzate sono state quasi tutte dimesse dopo le necessarie cure mediche. I media iraniani, notoriamente tutti affiliati ai pasdaran, non hanno usato il termine “avvelenamento”, si sono limitati a descrivere i casi come “alterazione o interruzione della meccanica respiratoria”.

Il vicegovernatore del Khuzestan, Abdollah Afrazeh Shahavand, ha precisato che “alcuni studenti hanno provato un normale “disagio nella respirazione” a causa di inalazione di una fuoriuscita di un liquido per nulla dannoso che era stato iniettato nel gas di città”. Secondo il regime si è trattato di un allarme eccessivo e inutile diffuso da presunti “nemici della nazione” che tramerebbero per minacciare la sicurezza nazionale. Il riferimento evidente è al movimento “Donna, vita, libertà” che dal 16 settembre 2022 compie quotidiane azioni di disobbedienza civile contro il regime dei mullah.

I licei colpiti sono perlopiù femminili, frequentati da ragazze che si recano a scuola senza velo. Il regime teocratico non può sopportare che le donne sfoggino le loro ciocche al vento e che da oltre un anno la questione dell’hijab sia un capitolo chiuso, perché con i loro moti di ribellione hanno di fatto già abolito l’obbligo di indossarlo. Gli ayatollah non riescono più a far rispettare l’odioso codice di abbigliamento e ricorrono dunque all’inasprimento della legge e al terrorismo. La cosiddetta polizia morale continua a terrorizzare e a tormentare le donne di qualsiasi età, anche le bambine di dieci anni che non indossano il velo.

Questi nuovi casi di avvelenamento nelle scuole femminili in Iran evocano lo spettro di un ritorno alla orribile pratica di attacchi chimici che si erano registrati dal dicembre 2022 a maggio 2023 nelle scuole femminili di diverse città del paese, compresa la capitale Tehran.

In quei sei mesi, oltre 800 ragazze senza hijab di 120 scuole accusarono sintomi da avvelenamento respiratorio. Almeno tre adolescenti morirono. Le loro famiglie furono minacciate e ad esse venne intimato il silenzio!

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Il movimento giovanile di protesta accusa la Repubblica islamica di terrorizzare la popolazione per costringere le donne, che hanno generato un moto di ribellione nonviolenta che sta scardinando le fondamenta ideologiche su cui si basa la teocrazia iraniana, a indossare il velo. Il gruppo estremista sciita Hamian-e Velayat starebbe dietro queste azioni terroristiche. Esso era già noto per aver lanciato in passato attacchi chimici contro i derwishi ed è molto legato al figlio della guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, e ai pasdaran.

Anche nelle carceri è imposta l’applicazione dell’odioso codice di abbigliamento e alle donne prigioniere che non indossano il velo viene negata ogni cura medica, anche di emergenza. È il caso del premio Nobel per la Pace 2023, Narges Mohammadi, che ha bisogno di cure urgenti che le vengono negate perché si rifiuta di indossare il velo; per questo motivo ha iniziato uno sciopero della fame nel carcere di Evin in cui è rinchiusa.

Mariano Giustino

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