Eversivo il referendum catalano, indetto contra legem e senza garanzie per i dissenzienti

Una soluzione tipo Alto Adige Potrebbe mantenere l'unità della nazione e l'autonomia

 di Domenico Cacopardo, 3.10.2017 da www.italiaoggi.it

Ora che la frattura s'è consumata, catalani e Spagna hanno una sola via da imboccare, quella della ragionevolezza delimitata da due parapetti: il diritto e l'opportunità. Questo non significa assolvere Carles Puigdemeont e la sua lista «Junts pel Sí» dalla grave responsabilità di avere aperto uno scontro con la nazione iberica su uno di quei temi che la dottrina giuridica definisce «indisponibili»: l'unità dello Stato regolato da una Costituzione, modificabile con una specifica procedura.

Non è perciò possibile che uno o 7 milioni e 500 mila di cittadini decidano autonomamente se continuare o meno a farne parte. Un elemento sostanziale, questo, che sfugge ai media italiani, attenti soltanto alle cosiddette «violenze della polizia» (la Guardia civil) e non alla violenza praticata dai catalani, da quel percento di catalani che ha imboccato la via eversiva dello scontro istituzionale, e da coloro che hanno affrontato proprio la Guardia civil che stava operando su ordine dell'autorità giudiziaria.

Il rango dell'attività dei rivoltosi è analogo a quella dei napoletani, siciliani, calabresi che aggrediscono la polizia che arresta un camorrista un mafioso un 'ndranghetista. C'è una sola differenza apprezzata dai giuristi: lo scopo. In questo caso, si tratta di uno scopo politico perseguito con mezzi eversivi. Eversivo il referendum, indetto contra legem e realizzato senza alcuna garanzia per i dissenzienti. Resi quindi i torti e le ragioni a chi ha torto e a chi ha ragione, pensiamo all'oggi e al domani, ben sapendo che la Catalunya è uno dei mattoni della costruzione europea e la sua rimozione dal muro dell'Unione, ne mette in pericolo stabilità e sussistenza.

Carles Puigdemeont, il cui nome, penso, un giorno sarà esecrato dagli stessi catalani, prima di domenica aveva dichiarato che da lunedì si sarebbe aperta la stagione del confronto con Madrid, puntanto sulla necessità di convocare un'assemblea costituente (per il rinnovamento della carta fondamentale con la ridefinizione del perimetro dello Stato). Una posizione, in definitiva, comprensibile. Invece, conosciuti i dati di un referendum farlocco (ma soprattutto, vista la mobilitazione di piazza dei catalani, cinicamente illusi di una loro sovranità assoluta), Puigdemeont ha convocato il consiglio dei ministri (catalani) per procedere alla dichiarazione di indipendenza.

Un'asserzione, ancorché formulata dal governo della Generalitat e approvata dal suo Parlamento, del tutto inefficace, cioè giuridicamente insistente. Stiamo tutti, peraltro, sperimentando il valore delle parole in politica. Il ricorso al linguaggio aggressivo e extra-istituzionale, vigente anche in Italia, perbacco, ha in sé conseguenze devastanti, giacché chi pronuncia parole irresponsabili è poi costretto a onorarle. È perciò necessario che il governo madrileno (cui si attribuisce il proposito di sospendere l'autonomia catalana) operi con moderazione, ben sapendo che il bene superiore della nazione iberica è quello di ricondurre i catalani e le loro rappresentanze politiche all'interno del quadro costituzionale.

Questa è la scelta che impone l'«opportunità». Il diritto (il giurista è un sarto che cuce il vestito di cui il corpo sociale ha necessità) seguirà. Nel senso che, nelle forme che saranno negoziate, si dovrà trovare una strada (che c'è: vedi Alto Adige) per un'autonomia allargata che quieti le pulsioni indipendentiste. Probabilmente, un nuovo referendum, garantito dalle istituzioni statali (non da una Generalitat in mano a «Junts pel Sí») assistito dall'impegno a attuarne le scelte, compresa, se necessaria, la riforma costituzionale (sull'integrità del territorio), può costituire la via d'uscita che attenuerebbe la tensione.

Altrimenti, la ribellione farà strada e otterrà consensi maggiori di quelli che aveva qualche giorno fa. L'Europa ha fatto bene a tacere. Ma ora deve parlare col linguaggio del buon senso.

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